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L'IDENTITÀ CULTURALE DELLA POPOLAZIONE DELLA PROVINCIA DI SONDRIO

L'identità culturale della popolazione

della provincia di Sondrio

statuto

Gennaio 2006 - 2007

aggiornamenti 2008 - 2010
a cura di Assunto Quadrio Aristarchi

Equipe scientifica di ricerca

Coordinamento:
Claudio Snider, Presidente Società Economica Valtellinese
Responsabilità scientifica:
Assunto Quadrio Aristarchi, Professore emerito di psicologia sociale dell'Università Cattolica di Milano, responsabile Centro di Studi e Ricerche di Scienze Cognitive e della Comunicazione dell'Università Cattolica di Milano
Collaborazione:
Katri Mingardi, psicologa, psicoterapeuta
per incarico della:
Società Economica Valtellinese

 

INDICE

PREFAZIONE, di Alberto Quadrio Curzio

I - INTRODUZIONE

1.1. Il problema dell’identità culturale nel mondo contemporaneo
1.2. Aspetti comuni ed aspetti di contesto

II - LA PRIMA FASE DI RICERCA: INDAGINE QUALITATIVA

2.1. Le interviste individuali ed i workshop tematici
2.2. Una prima osservazione: due diverse interpretazioni dell’identità
2.3. Problemi particolari e problemi generali
2.4. I rischi del localismo
2.5. Identità personale ed identità sociale
2.6. L’identità come possibile resistenza al cambiamento

III - LA FASE ESTENSIVA DELLA RICERCA

3.1. Impostazione, collaudo del questionario e definizione del campione
3.2. Il questionario definitivo. Le diverse aree di indagine
3.3. I criteri di distribuzione del questionario e di costituzione del campione
Contributi realizzati da partecipanti ai workshop

IV - RISULTATI DELL’INDAGINE ESTENSIVA

4.1. Prima area: variabili anagrafiche
4.2. Seconda area: integrazione sociale e propensione al cambiamento
4.3. Terza area: problemi psico-socio-culturali
4.4. Quarta area: previsioni di sviluppo della comunità

V - CONCLUSIONI

VI - APPENDICE

 

 

PREFAZIONE

di Alberto Quadrio Curzio
È per me un vero piacere, come presidente del Comitato tecnico della SEV, presentare questo volume del collega ed amico, prof. Assunto Quadrio. Anch’egli è membro del Comitato tecnico della Sev, siamo stati colleghi per più di 30 anni all’Università Cattolica dov’egli è attualmente professore emerito di Psicologia sociale.
Pur non essendo io un esperto di psicologia sociale, materia professata con grande competenza dall’autore di questa ricerca, mi reputo invece esperto di identità culturale valtellinese.
In un certo senso in molti dei miei scritti e delle mie proposte sulla Valtellina ho sempre cercato di ravvivare questa identità, di incoraggiare gli «anziani» nei loro ricordi delle nostre tradizioni e di spingere i «giovani» ad innovare senza abbandonare il passato. Insomma ho sempre coltivato il binomio tradizione-innovazione che può fare forte una identità senza cristallizzarla nel passato.
Questo è anche lo spirito dello Statuto Comunitario (Lo Statuto Comunitario per la “Valtellina”. Un progetto della sussidiarietà) che potrebbe rappresentare una cartina di tornasole, a nostro modo di vedere, per la Valtellina e la Valchiavenna. Se l’adesione sarà positiva e se si catalizzeranno impegni per la sua promozione, vorrà dire che la popolazione delle nostre Valli intende percorrere gli anni a venire mantenendo l’identità di una Valle alpina italo- europea. Se la reazione sarà negativa o non ci sarà vorrà dire che abbiamo deciso, magari inconsapevolmente, di diventare una appendice della metropoli milanese-brianzola. Forse diverremo più ricchi ma non credo che alla lunga avremo fatto la scelta migliore.
Anche perché questo nostro futuro non è ancora stato scelto, indagare in questo momento il problema dell’identità è un compito stimolante ma difficile. Eppure Assunto Quadrio ci dà una rappresentazione oggettiva, veritiera e convincente della stessa.
È bene ricordare che la categoria «identità» si riferisce ad una realtà complessa, ricca di significati individuali e collettivi, concreti e simbolici ma non priva di significati ambivalenti. A livello individuale da un lato l’identità valorizza la personalità di ciascuno e quindi anche la capacità di relazionarsi attivamente con il proprio ambiente, ma dall’altro può porsi come individualismo accentuato, come differenza e chiusura; a livello collettivo può mobilitare idealmente intere collettività per il riconoscimento e lo sviluppo dei valori comuni ma può anche porsi come semplice difesa localistica di fronte ai cambiamenti ed al generale progresso socioculturale.
La ricerca realizzata in Valtellina e Valchiavenna conferma le osservazioni precedenti:
osservazioni che ricorrono peraltro in tutte o quasi le indagini condotte in Italia.
Il mondo è pervaso da moti globalizzanti che affascinano ma preoccupano, da mutamenti sociali e culturali che stimolano il progresso ma minacciano equilibri faticosamente conquistati e che condizionano i riferimenti abituali.
Nascono da qui in molte comunità reazioni ambivalenti e opinioni diverse: rincorsa delle novità, adeguamento oppure diffidenza, aperto rifiuto.

*Statuto Comunitario per la Valtellina un progetto per la sussudarietà, a cura di Alberto Quadrio Curzio e Giudo Merzoni - collana SocioEconomica della SEV Franco Angeli Editore Milano 2008

 

Anche in Valtellina non mancano le diversità di opinione pur nel contesto di un sicuro attaccamento alla propria identità di cui senza enfasi si riconoscono pregi e limiti: l’identità appare come un comune sentire che volta a volta si vive come risorsa preziosa o come limite. Questa divergenza di opinioni non annulla però il riconoscimento unanime della necessità di un impegno comune di persone e di enti - necessario sia per conservare che per cambiare - ed insieme ad esso quello della competenza professionale quale garanzia di scelte adeguate per la Valtellina.
Le scelte prospettate ricalcano i bisogni rilevati nei vari ambiti dell’esistenza: ambiente, infrastrutture, lavoro, istruzione: i due ultimi settori declinati in modo particolarmente attento ai problemi dei giovani.
Malgrado questo studio sia stato condotto in modo del tutto indipendente da quello che ha portato alla formulazione dello Statuto Comunitario, riteniamo che lo stesso possa anche essere utile nella applicazione dello Statuto stesso laddove le «tavole di monitoraggio» collegate allo stesso vengano utilizzate in futuro.

 

I - INTRODUZIONE

1.1. Il problema dell’identità culturale nel mondo contemporaneo

La ricerca che presentiamo sulla “identità culturale della popolazione della provincia di Sondrio“ coerentemente con i risultati di altre indagini o saggi contemporanei, rivela l’attualità del tema “identità” e pone in luce la sua complessità, l’interesse pluridisciplinare che suscita, gli aspetti di incertezza e conflittualità che lo contraddistinguono.
L’attualità del tema è di facile evidenza.
La globalizzazione che pervade gran parte del mondo presenta continuamente sia dei modelli espliciti sia delle suggestioni più sottili e nascoste che si pongono come esempi di giudizio e di azione, come modelli di produzione e di consumo.
L’effetto di influenza esercitato da questi esempi è indubbio, la tendenza imitativa è consistente ad ogni livello: a livello delle abitudini di vita e di consumo, a quello degli interessi e delle scelte quotidiane; condiziona la stessa organizzazione del tempo e le relazioni interpersonali e di gruppo.
Anche se i cambiamenti indotti dall’imitazione sono spesso effimeri e le nuove abitudini rappresentano sovente delle mode temporanee presto sostituite da nuove suggestioni, si va però affermando una più stabile generica propensione o almeno una disponibilità al cambiamento che viene razionalizzata come ricerca di comodità, come risparmio di tempo, come modernità.
Probabilmente non sono i singoli cambiamenti ma questa generica disponibilità a cambiare che minaccia di travolgere le diverse identità culturali o almeno di corromperle e di omologarle ad una nuova cultura che pur essendo ancora in corso di definizione è prepotente e influente.
Il problema è così ampio e pervasivo da rendere difficile la sua stessa delimitazione: qualcuno tende a drammatizzare la situazione e sostiene che i cambiamenti sono inarrestabili e travolgenti e fanno intravedere l’inizio di una crisi della stessa civiltà europea, la volgarizzazione dei suoi grandi valori, l’inaridimento delle sue radici culturali; qualcun altro - più prudentemente - ritiene che il cambiamento sia superficiale e riguardi non i valori di fondo, ma solo i valori “strumentali“, di scambio e di comportamento.
È comunque importante seguire con attenzione il problema perché anche i valori di fondo e cioè i principi di riferimento sui quali si fonda l’identità culturale, non sono certo separati dall’esperienza quotidiana e quindi non sono immuni dalle suggestioni - vere o fittizie - della “modernità” nella sua poliforme presentazione: semplicità e comodità, economicità ed eguaglianza ma anche progresso tecnico, garanzia scientifica, visione ampia e disincantata.
Il tema è indubbiamente complesso e multi-disciplinare perchè investe aspetti pubblici e privati, presenta problemi politici, economici, sociologici e psicologici: esso è strettamente connesso, per lo stesso riconoscimento della sua consistenza e dei suoi limiti, alla informazione di massa ed ai problemi di diffusione e soprattutto di credibilità che questa, a sua volta, pone.
L’informazione di massa, con le sue caratteristiche di enfasi, generalizzazione, sistematica trasformazione dei “fatti” in “notizie”, contribuisce certamente a creare alternativamente entusiasmi e delusioni, a presentare come certo quel che è incerto o magari transitorio, a caricare di dubbi e di ansia il problema dell’identità; un problema che è già di per sé inevitabilmente conflittuale dal momento che le promesse ed i vantaggi dell’innovazione - veri o illusori che siano - si confrontano in una continua dialettica - in forma esplicita ma più spesso implicita - con rilevanti resistenze al cambiamento.

1.2. Aspetti comuni ed aspetti di contesto

La dinamica del problema dell’identità culturale presenta quindi aspetti comuni a molte situazioni che sono in atto un pò ovunque nel mondo ma anche aspetti specifici nei diversi contesti; essa è infatti condizionata e declinata in modo differenziale nei vari paesi e nei vari ambienti da peculiarità economiche e culturali; inoltre è vissuta variamente anche all’interno dello stesso contesto in rapporto alle specifiche condizioni oggettive di sviluppo ed a quelle soggettive di benessere.
Abitudini, età e sesso sono altrettanti fattori che agiscono sulla identità personale e comunitaria sia in senso oggettivo che soggettivo e rendono quindi possibili letture ed interpretazioni scientifiche diverse.
Basti pensare - per fare un esempio fra i molti possibili - alla rilevanza che vanno assumendo nella dinamica identitaria tutte le novità connesse alla trasformazione del ruolo femminile in famiglia, al lavoro e in società: una trasformazione che naturalmente è più avvertita nei contesti sociali più tradizionali che più a lungo hanno conservato situazioni tradizionali ormai ritenute, almeno in parte, insoddisfacenti.
Spesso infatti la trasformazione del ruolo è parziale e contraddittoria, affermata nel pubblico e negata nel privato (o viceversa) o addirittura consiste solo in una “verità annunciata” e magari enfatizzata superficialmente dai mass-media. Il che non impedisce, però, che nascano ansie e conflitti, insoddisfazioni e rivendicazioni e cioè una serie di problemi che investono i rapporti formali ed informali fra i sessi e le generazioni.
Non meraviglia quindi che questo problema stia, insieme ad altri, divenendo rilevante anche in provincia di Sondrio.
In una recente ricerca che abbiamo condotto su di un consistente campione di adolescenti valtellinesi e valchiavennaschi, si era rilevato come le ragazze fossero più ansiose di ridefinire la loro identità in un mondo che muta e, nelle conclusioni della ricerca, si era affermato:

 

”… non solo a Sondrio ma in tutta Italia e probabilmente in tutto il mondo è in atto una pro- fonda trasformazione del ruolo femminile e quindi degli interessi, delle aspirazioni, delle giovani che vivono contestualmente l’apprensione di non riuscire a realizzarsi.
… Potremmo sintetizzare il problema affermando che la crisi di identità è maggiore nelle ragazze che sono le più desiderose di cambiare la loro posizione e, forse, le più timorose di non riuscire a svincolarsi dai modelli di identificazione tradizionale che definivano in modo più univoco il ruolo femminile …”(1).
Un altro problema, sul quale si va accumulando sia una bibliografia scientifica che una
letteratura divulgativa molto abbondante, e che non è assente nel territorio della provincia di Sondrio, riguarda l’insieme di attese, timori, difficoltà e delusioni che complessivamente costituiscono il cosiddetto “disagio giovanile”.
Il tema non è nuovo, anzi è un tema antico e perenne ma probabilmente acutizzato nella situazione attuale.
Da sempre conosciamo i problemi dell’adolescenza, i difficili rapporti fra genitori e figli, adulti e giovani, l’emergenza di una sub-cultura con aspetti devianti, il radicalismo giovanile che spesso si traduce paradossalmente in un nuovo conformismo.
La bibliografia letteraria ben prima di quella scientifica è ricca di testimonianze al proposito.
Attualmente il problema si ripresenta con notevoli innovazioni.
L’ampliarsi dell’universo delle informazioni, la possibilità di comunicazione, il confronto fra culture diverse, la crisi del principio autoritario familiare ed extrafamiliare, i cambiamenti nel mercato dell’istruzione e del lavoro, creano illusioni e tentazioni, entusiasmi e delusioni nei giovani.
Nasce di qui una condizione abbastanza diffusa di insicurezza che in qualche caso (per fortuna isolato) si traduce in un acuto disadattamento che può aggravarsi sino ai confini della vera psicopatologia, in qualche altro si traduce in comportamenti di tipo deviante (dipendenza dall’alcool o dalle droghe) in molti altri si limita ad un disagio soggettivo durevole.
La presente ricerca - come vedremo - pur non avendo fra i suoi obiettivi l’indagine del disagio giovanile, ha rilevato alcuni problemi particolari che contribuiscono, direttamente o indirettamente a creare una “questione giovanile” nell’ambito della tematica dell’identità.

(1) cfr. “L’identità dei giovani valtellinesi e valchiavennaschi” Fondazione Gruppo Credito Valtellinese 2006.

 

II - LA PRIMA FASE DI RICERCA: INDAGINE QUALITATIVA

2.1. Le interviste individuali ed i workshop tematici

I due problemi che abbiamo accennato - la questione femminile ed il disagio giovanile
- sono avvertiti ed espressi sopratutto dai giovani ma non sono certo ignorati né sottovalutati dagli adulti.
Infatti la questione femminile o il disagio giovanile, come molti altri temi ben presenti nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale, sono emersi con buona evidenza e buona credibilità nelle discussioni che abbiamo rilevato nel corso dei diversi workshop realizzati nella fase qualitativa della ricerca.
Sembra interessante notare come la discussione su queste tematiche sia andata procedendo da una prospettiva settoriale ad una visione più globale: in altri termini la questione femminile ed il disagio giovanile non sono stati valutati come dei problemi separati da affrontare e risolvere isolatamente, ma costituenti parte integrante del problema dell’identità culturale.
Sono cioè problemi che riguardano non solo i diretti interessati ma che coinvolgono l’immagine, e non solo l’immagine, dell’intera comunità: come ha detto più di un intervistato il problema non è quello di “consolare gli afflitti“ ma quello di non perdere o deprimere risorse umane utili all’intera comunità.
I due problemi che abbiamo citato si uniscono a molti altri che sono stati riportati e discussi nella fase qualitativa della ricerca.
Le interviste individuali e le discussioni in gruppo nei workshop hanno prodotto osservazioni importanti che si sono rivelate utili anche per preparare la successiva fase “estensiva”; questa, come vedremo, è stata realizzata mediante la distribuzione di parecchie centinaia di questionari in tutto il territorio provinciale.

Le interviste individuali condotte nella prima fase hanno coinvolto persone identificabili come “testimoni privilegiati” della realtà provinciale e lo stesso è avvenuto nei workshop tematici.

Tali interviste (alcune decine), condotte in modo non direttivo, hanno riguardato persone valutabili come “rappresentative” della comunità non solo per il ruolo sociale o professionale ricoperto, ma anche per la loro cultura, per i loro interessi, per il loro notorio coinvolgimento nei problemi locali teorici e pratici.

I workshop (5 in tutto) sono stati centrati ciascuno su di un problema particolare:

- la tradizione culturale

- l’istruzione e formazione professionale
- il lavoro (sviluppo tecnico-organizzativo e aspetti economici)
- la solidarietà (associazionismo, volontariato e cooperazione)
- l’ambiente geografico (paesaggio, territorio e infrastrutture)
Ciascuno di essi è stato organizzato curando la partecipazione di esperti dei vari settori e di diversa preparazione culturale ed esperienza professionale.
L’adesione, attiva ed interessata alle interviste, e la partecipazione ai workshop possono essere interpretate come un primo risultato della ricerca.
Le osservazioni raccolte nelle interviste e nei workshop - tutte puntuali e fondate non solo su opinioni generali ma anche sull’esperienza culturale e professionale dei partecipanti - hanno confermato l’interesse degli invitati, dimostrando come il tema “identità”
- al di là di alcune principali interpretazioni di carattere generale - susciti motivazioni e preoccupazioni particolari che si differenziano in rapporto al ruolo, all’esperienza passata ed attuale, e conduca a formulare diverse graduatorie di importanza dei vari problemi.
Tali osservazioni possono quindi essere valutate come segue:

certamente utili “in sé “ in quanto espressione di opinioni, di atteggiamenti, di conflitti e di dubbi da parte di persone qualificate;

utili inoltre per la migliore definizione degli obiettivi di ricerca e quindi per l’impostazione del questionario da utilizzare nella ricerca estensiva che, nelle sue varie aree, ha ripreso i temi discussi nel corso dei workshop;

utili anche in quanto “filtro” che ha permesso di escludere dall’indagine estensiva quegli argomenti che sono apparsi poco rilevanti o eccessivamente settoriali nella problematica della identità culturale.

 

2.2. Una prima osservazione: due diverse interpretazioni dell’identità

Nell’insieme delle molteplici opinioni che riguardano i vari temi trattati è possibile identificare due principali interpretazioni.
Una prima interpretazione spinge a vedere nell’identità un patrimonio tradizionale, carico di valori simbolici e di risonanze affettive, legato alle vicissitudini storiche, agli usi ed alle abitudini remote e recenti della popolazione valtellinese e valchiavennasca: in sostanza un retaggio di cui essere orgogliosi e da non dimenticare.
Alcuni aspetti sono apparsi particolarmente rilevanti in questo orientamento:

la storia dell’autonomia culturale delle due valli, difesa nei secoli attraverso complesse vicissitudini politiche;

la valutazione positiva dell’ambiente naturale nelle sue caratteristiche oggettive(bellezza estetica, salubrità ecologica, risorsa sportiva e turistica) e nel suo significatopratico e simbolico di contenitore caratterizzante(2), protettivo e di tramite, da un lato, con il territorio italiano e dall’altro con l’Europa centrale;

il ricordo orgoglioso di fatiche laboriose, di abnegazione, di lotte contro la povertà, di emigrazioni e di ritorni;

la consapevolezza della presenza di centri ed iniziative di buon livello che dimostrano la continuità di un impegno culturale.
Il giudizio positivo sul valore storico e culturale della propria identità non sembra tradursi sempre, però, in un analogo giudizio positivo sul valore strumentale attuale della stessa identità.
Il patrimonio identitario appare a molti, infatti, come un bene culturale molto stimabile ma forse poco utile come risorsa da utilizzare nella pratica operativa.
È stato manifestato qualche volta il dubbio che in un mondo ormai disincantato e standardizzato appare più utile e più comodo conformarsi a gruppi di riferimento lontani ed a modelli di azione semplici, poco impegnativi e già disponibili, piuttosto che prendere iniziative con i gruppi di appartenenza e secondo modelli prestigiosi e vicini ma da adeguare ad una realtà in continua trasformazione.
La seconda interpretazione è più concreta e più critica: l’identità viene percepita non solo come un retaggio storico né solo come un insieme di risorse o limiti comuni ad un gruppo umano ma anche come la sintesi attuale della realtà personale o collettiva e della realtà ambientale; come una “... creatura viva ... che come tutte le creature pone problemi ma anche opportunità ...”.
L’identità, in sostanza, appare a molti come una realtà non statica ma in continuo rimaneggiamento composta di una parte più durevole nel tempo e di una parte contingente che comprende l’esperienza quotidiana di una comunità; una esperienza che non può ignorare i cambiamenti che riguardano le persone, i gruppi, le istituzioni.
Mutano i ruoli familiari, i rapporti fra le generazioni, l’informazione, l’istruzione generale e professionale, le condizioni di lavoro; l’Italia ed anche la Valtellina non sono più terre di emigrazione ma di immigrazione.
La consapevolezza di questo carattere dinamico e pragmatico della identità si traduce più facilmente in una motivazione ad operare.
Proprio per non soccombere alla pressione globalizzante sembra necessario non solo compiacersi della tradizione e degli aspetti positivi contingenti ma agire insieme per ritrovare il senso non solo retorico della identità, per comprendere bene i valori strumentali che l’hanno sempre caratterizzata e per utilizzarli in modo sinergico quali fattori di sviluppo culturale ed economico.
L’identità, in sostanza, diviene in questa prospettiva - come ha detto un intervistato -:

(2) Da un intervento in discussione nel workshop “paesaggio”

“... la geologia e la morfologia hanno caratterizzato molto l’ambiente e quindi anche la popolazione e la cultura del territorio e della

gente stessa ... Nel passato la valle è rimasta tagliata fuori da una serie di collegamenti possibili, flussi, ambiti culturali ... questa

conformazione ci ha difeso dalle invasioni barbariche … una cosa che vale molto e non sarà un carattere di identità che cadrà così

velocemente ...”.

 

“non un bene da tenere nel materasso ma da investire, …. e neppure un quadro appeso da contemplare ...”.

 

2.3. Problemi particolari e problemi generali

Su alcuni argomenti la preoccupazione di agire è apparsa più viva:

l’insufficienza della viabilità e le difficoltà dei trasporti;

il degrado del paesaggio;

la necessità di rinnovare le iniziative turistiche;

la necessità di curare in modo particolare l’occupazione giovanile in provincia.

L’insieme di questi problemi ha indubbiamente una valenza oggettiva che - secondo l’opinione di molti intervistati - rischia di generare reazioni di vario tipo (scontentezza, delusione, sfiducia, disimpegno) che possono mortificare l’identità culturale.
Non va peraltro trascurato un ulteriore aspetto che in qualche modo percorre trasversalmente, l’intera tematica: quello della carenza di una comunicazione adeguata e credibile della realtà sulla provincia: una comunicazione che precisi i limiti dei problemi, correggendo i molti pregiudizi, valorizzando gli aspetti positivi in contrapposizione alle carenze ed ai difetti, e quindi salvaguardando quanto di valido esiste nella identità culturale.
In questa prospettiva non è mancata una critica ai mezzi di comunicazione di massa (soprattutto alla stampa ed alle TV nazionali) che non contribuiscono a valorizzare l’identità della provincia perché distratte, disinteressate, carenti sia quantitativamente che qualitativamente.
È stato altresì detto però che anche da parte valtellinese e valchiavennasca esiste una carenza di iniziative volte da un lato ad intrattenere con i mass-media un rapporto più efficace e dall’altro, a predisporre strategie e campagne di informazione mirate alla valorizzazione dell’immagine locale.
Le responsabilità, in sostanza, non sono solo “degli altri” che ignorano o sottovalutano o deformano la realtà della provincia, ma anche dei valtellinesi che non si curano di problemi di immagine come sembra facciano invece con buoni risultati altre comunità (ad es. il Trentino, la Valle d’Aosta).
Il problema della comunicazione non è comunque separabile da un altro tema di carattere generale: quello della difficoltà a realizzare una progettualità comune o almeno coordinata.

 

2.4. I rischi del localismo

Se si considera il problema dell’identità in una prospettiva “... meno romantica e più pragmatica” (come ha detto un intervistato) è opportuno però anche procedere ad una sincera autocritica e riconoscere quali siano i limiti ed i difetti dell’identità valtellinese e valchiavennasca:
“... ad esempio la chiusura, la diffidenza, la tendenza particolaristica che moltiplica iniziative e gruppi ...”
”la tendenza a far parrocchia a sé”
”... i rischi di un particolarismo spesso ottuso ed autolesionista …”
I pericoli ed i danni del localismo sono stati più volte ricordati nel corso delle interviste individuali e di workshop con riferimento ad episodi e situazioni concrete nei diversi settori: assistenza, lavoro, trasporti, turismo, peculiarità linguistiche dialettali ecc.
Qualcuno ha parlato di “micro-identità“ per sottolineare come il senso di appartenenza sia spesso più legato alla specifica comunità di nascita e residenza che non alla valle nel suo complesso; tale microidentità particolaristica è in parte giustificabile sulla base di obiettive condizioni geografiche, economiche e sociali ma rischia di tradursi nella incapacità di condividere progetti unitari o in aperta competizione fra zona e zona, comune e comune.
Sarebbero da imputare ad essa (o “anche“ ad essa) molti errori: per esempio l’indifferenza per la preservazione del paesaggio, il disordine urbanistico, la moltiplicazione di iniziative analoghe ecc.
L’identità valtellinese comune, anche se logorata dal particolarismo, rimarrebbe comunque come una sorta di disposizione potenziale che potrebbe riemergere in situazioni particolari, come è avvenuto più volte nella storia.
Si contrappone a questo “tratto“ caratterologico individuale e collettivo, l’esigenza di una maggiore unità, di una migliore collaborazione fra enti ed iniziative diverse fra pubblico e privato, fra singoli cittadini ed istituzioni, fra il mondo dell’economia e delle aziende e la realtà sociale e culturale.
Questa esigenza è apparsa abbastanza condivisa nella sua espressione generale ma anche molto diversificata nella rilevanza che viene attribuita alla importanza e urgenza del problema.
Solo poche persone infatti hanno descritto il problema in termini di “necessità” e cioè come un compito difficile ma doveroso ed urgente, mentre numerose altre sono sembrate attestate su di una posizione più moderata che non rifiuta l’impegno ma ritiene opportuno commisurare con attenzione i pro e contro di un cambiamento.
Le due posizioni che abbiamo descritto - “romantica e pragmatica” paiono contrapposte ma possono anche alternarsi e succedersi nella discussione dei problemi concreti con l’effetto pratico di creare una sorta di “dissonanza cognitiva“ che crea incertezza nella identificazione dei problemi concreti.
È proprio questa incertezza - se ci si pone in un’ottica interpretativa di tipo psicosociale - che rivela le analogie fra la tematica della identità personale e quella della identità collettiva: una analogia che non ha solo interesse scientifico ma - a nostro giudizio - un valore culturale da approfondire.

 

2.5. Identità personale ed identità sociale

Il termine “identità” rimanda infatti, in prima istanza, ad una caratteristica individuale e cioè ad una rappresentazione cognitiva ed affettiva che unisce i diversi aspetti della personalità e permette di distinguere ciascun uomo da ogni altro e di apprezzare la sua continuità pur nel variare dell’esperienza e nel fluire del tempo.
Le caratteristiche distintive dell’identità personale sono molteplici, diverse fra loro e variamente giudicate e cioè iper o ipo valutate dalle varie interpretazioni teoretiche: gli aspetti fisici, la dotazione intellettuale e culturale, il carattere, il modo di presentarsi e di agire sono infatti volta a volta ritenuti il fondamento principale della identità.
Questa molteplicità di interpretazioni testimonia il perdurare nel tempo della tematica identitaria: il termine identità è antico e altrettanto antichi sono i problemi che vi sono legati: problemi che, in ultima analisi, sono i problemi della convivenza di persone eguali e diverse, individualiste e conformiste, egocentriche e socievoli, capaci di adattarsi e di camuffarsi nel collettivo, ma in realtà sempre originali ed irripetibili.
Prima la filosofia e poi la psicologia hanno discusso di identità, l’hanno negata o esaltata, valutata qualche volta come una pura illusione, oppure come un’entità sempre in trasformazione o, al contrario, giudicata una sorta di nocciolo duro che dura nel tempo, che non si confonde con la cultura, che resiste alla legge, che rivendica rispetto e libertà. Esiste una ricca bibliografia in proposito che cerca di definire i criteri distintivi della identità e il senso che essa assume nel contesto relazionale umano. La genesi della identità
è riportata da alcuni alla dotazione genetica, da altri all’esperienza di vita e all’apprendimento, da altri ancora ad una continua interazione fra i due ordini di fattori.
È comunque sicuro che l’appartenenza ad un gruppo, ad una cultura, ad una società rappresenta un fattore importante nel condizionare larga parte della personalità e quindi della identità di ciascuno: l’identità personale, in altre parole, è largamente permeata di aspetti relazionali e sociali e quindi non può sottrarsi al richiamo di una identità collettiva.
Quando, nel corso delle discussioni nei workshop, si è fatto riferimento alla “mentalità“ dei valtellinesi e valchiavennaschi, si è parlato di persone, di famiglie, di rapporti comunitari; si è parlato di coraggio e di prudenza, di fatica e di solidarietà, di iniziativa e di serietà, con un continuo richiamo al carattere comune, diffuso e condiviso dell’esperienza di vita nei suoi aspetti positivi e nei suoi limiti.

Il termine “identità” quindi ha un legittimo valore sociale ed è possibile tradurre in termini collettivi - di identità sociale - molti attributi dell’identità individuale: ad esempio l’origine genetica e cioè l’appartenenza ad una etnia, l’influsso del passato e quello del presente che è esercitato dall’ambiente micro e macro-sociale e si traduce negli usi e nei costumi, negli apprendimenti e nel linguaggio, nei modelli di comportamento e nei valori.
Tutto ciò rappresenta un costrutto reale e soprattutto psicologico, uno schema di riferimento stabile che solo in parte è consapevole ma che è sempre potenzialmente operante sia quando è in armonia con i nostri bisogni e desideri sia quando si rivela insoddisfacente perché pare inadeguato.
I vari momenti della vita rappresentano altrettante crisi dell’identità sia personale che sociale, possono stimolare incertezza e conflitti, suscitare cambiamenti o arroccamenti difensivi; esiste un suggestivo parallelismo fra le crisi identitarie di una persona e quelle di una comunità, è possibile riconoscere nell’una e nell’altra la gelosa difesa dei propri caratteri distintivi, la resistenza ai cambiamenti che la minacciano oppure il sentimento di inferiorità e l’esasperata rincorsa di nuovi modelli.
È la dinamica del cambiamento, vecchia come il mondo, è la storia come intreccio di ripetizione, di libertà e di progresso.

 

2.6. L’identità come possibile resistenza al cambiamento

Come l’individuo trova nella sua identità una sorta di difesa contro i rischi del mondo esterno sino al momento in cui scopre che la difesa è contemporaneamente un vincolo, così una comunità trova nella sua identità un potente strumento di rassicurazione e di conferma dei propri modelli di valore e di comportamento sin quando non scopre che il mondo esterno è mutato e che è necessario in qualche modo adeguarsi.
La complessità di questa tematica non può mancare di una sua specifica patologia individuale e sociale.
Per l’individuo e per la comunità esiste il rischio di cadere in una situazione di incertezza che presenta aspetti molteplici e anche opposti: l’esaltazione ipocritica oppure l’autocritica eccessiva, il compiacimento dei risultati acquisiti oppure l’insoddisfazione continua, la paura del nuovo oppure il fanatismo del cambiamento per il cambiamento.
Il pericolo più frequente è quello del crearsi di un equilibrio omeostatico che valorizzando aspetti contingenti rassicura e trattiene dal cambiamento, blocca la progettazione e rifiuta il rischio; per superare il blocco nell’individuo come nelle comunità, può servire una crisi reale oppure la comparsa di una idea guida affascinante che renda credibile persino quel che ancora appartiene alla categoria dell’utopia. Come accade all’adolescente che si innamora di un’idea e trova la forza di uscire dalla routine del quotidiano e della funzione regressiva del benessere ripetitivo.
Anche questo ultimo aspetto è stato citato nei workshop.

Qualcuno ha detto chiaramente che è opportuno non sottovalutare la funzione conservatrice del benessere attuale: un benessere certamente incompleto, spesso insoddisfacente e magari persino “corruttore” perché fondato su un abbassamento del livello di aspirazione ma comunque rassicurante soprattutto se si ragiona in termini di breve o medio termine.
Qualcun altro ha detto che il benessere - vero o presunto - è una conquista relativamente recente: il ricordo delle difficoltà passate è ancora presente, permane nella memoria familiare, è testimoniato dagli anziani, rappresenta indubbiamente un confronto che valorizza il presente e trattiene dal cercare novità che possano essere rischiose e minacciare quanto stato acquisito.
Qualcun altro ancora ha sintetizzato bene la complessità del problema:
“... cos’è l’identità, a cosa serve? in ultima analisi si potrebbe dire che è un patrimonio che può avere un ruolo progressivo (coesione sociale) o regressivo (chiusura e resistenza al cambiamento) ...”.
Per superare il rischio dell’omeostasi occorre ragionare secondo modalità di lungo ter-
mine e recuperare la progettualità futura: sarebbe certamente utile una “idea portante“, una meta chiara che funzioni da guida alle ipotesi operative.
È certamente interessante considerare questo aspetto che è comune a molte situazioni attuali e che qualche studioso ha voluto riportare ad una crisi dei valori collettivi ed al prevalere del disimpegno, dell’individualismo egocentrico, della dipendenza passiva dalla realtà quotidiana.
Come sempre accade, peraltro, si tratta di un atteggiamento ambivalente, di una posizione non chiusa rigidamente ed univocamente ma aperta al dubbio e disponibile alla critica.
Non a caso i partecipanti ai workshop hanno spesso accolto con favore l’informazione che una fase estensiva di ricerca avrebbe completato la ricerca affermando di ritenere utile la verifica quantitativa delle loro opinioni o dei loro dubbi; ciò in ragione soprattutto della possibilità di conoscenza offerta da una indagine estesa a persone di diversa età, cultura, e ruolo sociale ed anche di diversa residenza nelle differenti zone e nei diversi centri - piccoli e grandi - della provincia.
La diversa residenza, infatti, è stata più volte ricordata nei workshop, come un variabile importante, una componente rilevante della identità; sono state ricordate le molte differenze possibili: la storia e la tipicità economica passata o presente, le usanze, il dialetto, le facilità o difficoltà di comunicazioni, il diverso rapporto con il territorio e così via:
“… lungo l’asse valtellinese ogni borgo ha sviluppato la sua tradizione tendendo il più possibile a fare parrocchia a sé; ... Ogni comunità ha e segue una sua strada, mettendosi a volte in competizione con quelle vicine anche quando forse sarebbe convenuto unire le forze ...”.
Di seguito inseriamo alcuni contributi realizzati da partecipanti ai workshop tematici di particolare rilevanza e interesse per la riflessione sul tema dell’identità della popolazione della provincia di Sondrio.
In appendice l’elenco dei partecipanti ai workshop e la sintesi dei lavori.

 

Identità e territorio in percorsi top-down e bottom-up

arch. Giovanni Bettini
Data la specificità della SEV è ovvio che l’iniziativa sulla realtà valtellinese tenda a correlare l’identità al tema dello sviluppo economico, in chiave di fattore qualitativo strategico entro la relazione locale-globale. D’altra parte una ricerca spingentesi nella sfaccettata complessità - antropologica, culturale ed anche politica - del concetto di identità potrebbe essere dispersiva, oltre che rischiosa; nel corso della storia l’identità ha prodotto sia virtù che guai.
Poiché mi occupo professionalmente di territorio e di problematiche ambientali guardo al tema con questa angolazione, pure intrigato da interrogativi più generali sullo spessore della valenza identitaria valtellinese, attuale o “promuovibile” da zelanti intenti, i quali sembrano muovere top down. Essendo SEV correlata al pensiero discendente del prof. Quadrio Curzio e a lodevoli istituzioni, entro gli importanti scritti contenuti nei noti “Profili di Sviluppo” le prospettazioni di scelte qualitative avevano già teso a coniugare identità e innovazione. La somministrazione di tali indicazioni ha costituito un patrimonio ormai ventennale, con però una sfasatura non irrilevante rispetto ai processi realmente in corso sul territorio valtellinese.
Nell’attesa di una pur necessaria infrastruttura stradale, ritenuta palingenetica con caratteristiche pressoché autostradali, si è concentrata un’attenzione distratta rispetto all’opportunità di scelte di mobilità diversa. Accorte opzioni di sviluppo sostenibile avrebbero dovuto portare a scelte già oggi consolidate per consumi meno spensierati di territorio, per un turismo meno fondato sul motore edilizio, meno impuntato sull’industria dello sci, più attento ai nessi con cultura, ambiente, agricoltura, paesaggio. Tutto questo ha prodotto effetti più omologativi che identitari.
Peraltro Valtellina è dentro accelerate trasformazioni generali che, con variegate specificità locali, investono tutto l’arco alpino erodendo le tradizioni consegnateci nella storia, anche in comparti alpini dove l’identità incorporava uno spessore di Heimat, pure ben finanziata per sopravvivere. In altre aree agiscono processi tendenti ad annessioni metropolitane. Altrove si registrano forme di staticità, a volte protettiva di valori persistenti, a volte degenerativa per marginalizzazione.
Uno sguardo territorialista che guarda al territorio ha propri limiti in quanto l’identità indubbiamente paesaggio soggettivo interiore, diventa attributo comunitario passando a un comune sentire spontaneo o pilotato. Ma certamente entro le Alpi la struttura morfologica dello spazio geografico e le particolari condizioni ambientali hanno costituito un importante fattore distintivo, che ha permeato il territorio, definibile come esito di interazione e articolazione di fattori culturali, solidarietà, rappresentanza e di produzione economica.
Una contraddizione che nel territorio valtellinese si va evidenziando è quella di una sfasatura piuttosto rilevante tra un pur vago sentirsi “appartenenti alla valle” e una disinvolta rarefazione di spirito pubblico volto alla cura del territorio e al suo oculato governo. Ciò che attualmente si deposita sul territorio è espressione di un miscuglio tra flussi economici interno-esterno e cultura, mappe mentali della collettività insediata. Economia e cultura si combinano in questa eterogeneità lungo un percorso che è stato di deruralizzazione negli anni 50-60 e che ora si snoda entro la globalizzazione.
Sforzi nel lisciare il pelo all’opinione pubblica gonfiando una valtellinesità perimetrata possono catturare facilmente un bisogno di ancorarsi a valori locali o paure che insorgono entro lo spaesamento e la de-tradizionalizzazione e a fronte delle aleatorietà della globalizzazione e della posmodernità.
Pure attrattiva potrebbe essere per molti versi l’avventura culturale per affermare identità valtellinesi entro l’interiorità della persona. Qualche imprinting valtellinese che sta, nei nati e cresciuti qui, sia nello sportellista bancario incravattato che nell’alpeggiatore che governa le mucche in alto, ammesso che ancora non sia un immigrato.
Credo maggiormente in una ricerca di percorsi per un rafforzamento “modernamente identitario” della collettività locale verso una coesione che - diciamocelo - non può più essere di “comunità”, bensì di “società”. Come da tempo ci ha insegnato Tonnies la comunità è chiusa entro regole non scritte, profondamente sentite in modo unitario, entro un riprodursi generazionale di lineamenti di fondo. Ora invece è ineluttabile essere “società”, aperta e nel contempo solidale, coesa e competitiva, motivata e relativista.
La radice della parola “identità” può essere recuperata nell’affermare l’importanza che anche entro una connotazione locale una società dovrebbe “identificarsi” per una “comprensione condivisa” del cambiamento che la percorre. Potrebbe essere questo l’antidoto costruibile socialmente e politicamente - oltre il politicante - per evitare uno sbrindellamento da frammentazione.
Ciò costituirebbe premessa per condividere una visione per un progetto locale dentro la globalizzazione, sfuggente tanto più all’omologazione quanto più è dinamico e legato al proprio patrimonio ambientale e territoriale, segno distintivo e fattore di successo.
Dal riconoscimento del proprio patrimonio ambientale, territoriale, storico, culturale, può derivare un tracciato condiviso di modernizzazione con una attrezzatura più sostanziale, che precede costitutivamente, rispetto agli atti amministrativi di pianificazione urbanistica alle varie scale; preliminare anche a provvedimenti economici specifici. Da questa maturazione potrebbe derivare una sorta di “statuto”, avente valore di indirizzo costitutivo di fondo nel procedere verso progetti e politiche. Proprio entro questo percorso, che dal riconoscimento di uno specifico patrimonio territoriale muove in avanti verso una progettualità condivisa può nascere una coesione di intenti in cui “identificarsi” dinamicamente.
Ma un tragitto di questo genere, pure stimolato da iniziative top-down da parte di élites illuminate, necessita per un effettivo successo di un convergente percorso bottom-up, cioè di democrazia partecipativa come strumento innovativo sociale e politico.

 

Paesaggio e territorio nella costruzione passata e futura di una identità valtellinese

Prof. Ivan Fassin

1. A che punto siamo in termini di identità e territorio? Donde veniamo?

Utilità di un approccio aperto al tema: posta l’idea di una identità non come costruzione definita, ma come processo in movimento, è utile considerare la questione del rapporto che si è sviluppato e/o si sviluppa tra identità come sociocultura, appunto, e ambiente, territorio, paesaggio.
Si apre una questione di STORIA da un lato, di SISTEMA dall’altro.
In termi di STORIA: è giusta la presa in considerazione della “lunga durata”, della civiltà rurale alpina, con le sue attività economiche (primarie) legate al territorio. Si potrebbe partire addirittura dalla caccia-raccolta, di cui del resto ci sono ancora tracce (bracconaggio?), passando per una economia di allevamento e di una più faticata agricoltura (qualcuno dice solo di “complemento”), estremamente diversificata per far fronte ai pur modesti bisogni locali in chiave di (quasi) autosufficienza.
Qui si può collocare la proposta di considerare, come elementi formativi di una identità locale, una “cultura” dei versanti (terrazzati), della regimazione e utilizzo delle acque, e ancora una cultura dei “passi alpini”, dunque della montagna non solo come ostacolo o limite, ma anche come collegamento e tramite.
Ma importante è anche la presa in esame delle “fratture storiche”: conquiste esterne, dominazioni (e mai autonomia effettiva, salvo in parte Bormio e Chiavenna), pestilenze, calamità naturali, impoverimento causato da politiche fiscali errate (cfr. denuncia Jacini), ecc.
Ovviamente non c’è solo l’economia: alcuni elementi “deologici” sono durati a lungo nel tempo. Per tutti: il tema del “ritorno dei morti”, non del tutto cancellato dal culto cristianizzato dei morti, e la presenza di figure femminili, che tenderanno a prendere la fisionomia della “strega”, ma sono state anzitutto, nei secoli, erboriste, guaritrici, levatrici, badanti, ecc.
In termini di SISTEMA.
Dalla storia esce un quadro di vita lavorativa dei ceti popolari durissima ed esasperante, non da contadino proprietario ma da contadino “livellario”, invitato proprio dalla forma del contratto agrario a cercare di strappare alla terra una maggiorazione produttiva che resta a disposizione della famiglia del colono una volta pagato il canone fisso dovuto al proprietario.

Questo ha fatto sì che si sviluppasse una sorta di mentalità da proprietario, molto prima di esserlo effettivamente, aprendo la via a una visione quasi mitologica della proprietà terriera, che, una volta raggiunta come proprietà privata, dà luogo ad un attaccamento quasi morboso... E, viceversa, a una quasi totale dimenticanza (mancato sviluppo, mancata coltivazione) di istituzioni collettive e comunitarie, quali proprietà di pascolo, bosco, usi civici, regole urbanistiche “spontane”, ecc.

 

Inoltre la presenza diffusa e persistente di una attività economica fondamentale come l’allevamento, che richiedeva di possedere edifici rurali di servizio o abitazione a diverse quote, ha contribuito a sviluppare un altro aspetto della mentalità del nostro contadino-proprietario: quello della passione sviscerata per l’edificare.

Vi era poi una visione di quello che potremmo chiamare un “ecologismo” implicito, consistente in un rapporto cauto e prudente verso la natura spesso ostile e comunque sempre dura dell’ambiente montano. Un ecologismo di necessità, che non ha escluso storicamente, sotto la pressione di diversi fattori, i casi di un uso esasperato e a rischio delle risorse naturali, ma, forse, fino a ieri senza troppi eccessi.
Ora il mondo moderno ha aperto falle enormi in questo complesso identitario tradizionale: ma ha lasciato (o piuttosto rafforzato) la visione “proprietaria”, che si esprime in un rifiuto viscerale di ogni forma di pianificazione del territorio. Si veda la vicenda dei Piani regolatori (ora dei PGT), del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, e più ancora il rapporto profondamente conflittuale verso l’istituzione Parco (naturale, regionale o nazionale), che altrove è invece diventato una risorsa e una occasione di sviluppo (Abruzzo e Molise, ma anche Val d’Aosta o Regione Trentino-Alto Adige).
Le falle aperte nel sistema sono soprattutto quelle dovute, in un’epoca ancora più recente, a una enorme espansione dei mezzi in rapporto ai fini. Per dirla in altre parole: la facilità con la quale è possibile intervenire oggi sul territorio (ad es. nella costruzione di strade di montagna o di opere di tutela idrogeologica, ma anche sbancamenti per impianti di risalita, grandi edificazioni in località un tempo non raggiungibili o economicamente non interessanti, ecc). Senza dire poi della motorizzazione privata. Si sono aperti spazi di una ‘nuovà libertà, di per sé non certo negativa, ma che sembra aver dato alquanto alla testa.
Mentre manca del tutto una qualche visione comune o concordata del modello di sviluppo che si vuole perseguire insieme, dei risultati non solo quantitativi (di tutto di più), ma magari qualitativi che si vorrebbero (o solo potrebbero) raggiungere.
Ecco allora una contraddizione che non finisco di spiegarmi: una sorta di paradosso. L’attaccamento alla terra e alla proprietà non esclude affatto la svendita del territorio e delle sue risorse (acqua, seconde case, beni culturali ecc.): è come se l’attaccamento puramente quantitativo e sviluppato solo in senso economicistico prevalesse su ogni ragione affettiva o culturale, su un amore per la terra natia, per la piccola patria locale, per l’eredità degli antenati, oltre che su una visione meno angusta e a breve termine.
Si potrebbe sostenere senza difficoltà che il modello di sviluppo locale (sviluppo che
certo c’è stato, crescita soprattutto economica, s’intende) si è retto fin qui prevalentemente sul territorio, sull’uso selvaggio di un bene in gran parte comune, che è stato a vario titolo privatizzato (con la complicità delle amministrazioni locali), e sempre disinvoltamente alterato o svenduto, pubblico o privato che fosse.
Io propenderei per chiamare questo “ossimoro” concettuale (un attaccamento distaccato): una malattia dell’identità. Questa identità malata, o richiusa sul privato, è nata nel passaggio alla modernità, rafforzata, se non prodotta, da una modernizzazione tutta estrinseca, che non è stata mai veramente vissuta dalla popolazione locale se non in termini di opportunità, per non dire di opportunismo, mai gestita “politicamente”, mai proiettata su un futuro progettato.

 

2. Dove andiamo?

Senza criminalizzare il passato, che fare? La prima cosa da fare sarebbe riconoscere la necessità di ri-centrarci, non per rinchiuderci nel localismo, ovviamente, ma per reimpadronirci di una gestione della società e dell’economia nella imponente transizione che stiamo attraversando, e che oggi è assurdamente gestita da forze estrinseche (economiche), e comunque in termini estremamente riduttivi (in politica, ad es. il cattivo liberismo protezionistico (!) o rivendicativo di certe forze politiche).
Si tratterebbe allora di promuovere una nuova IDENTITÀ DI MOVIMENTO, capace di recuperare certo frammenti di un passato lontano, (ma ben sapendo non è desiderabile comunque ricostruirlo nemmeno se fosse possibile) ma per proiettarli in una direzione inedita.
È stato detto che c’è un complesso della “periferia”. Ecco un campo sul quale lavorare: in che senso “periferia”? (geografica, sociale...). E quanto gioca nel corrente “lamento” su questo problema una insufficienza culturale, la mancanza di una percezione della nuova strategicità dell’ambiente alpino, sia in termini di spazio-natura, sia in termini di transiti (di nuovo! dopo una storia lontana, interrotta)? Solo se si osa proiettare il “locale” (ovviamente “governato” con saggezza) verso il “globale” (che è un mare ignoto) ci si apre al futuro. Le forme di questa operazione non sono certo materia per questa occasione di ricerca.
Carenza culturale e carenza di comunicazione, denunciate qui e riscontrate nella precedente ricerca sull’identità giovanile sono, nel mondo contemporaneo, handicap che assicurano una eterodirezione, una colonizzazione (culturale, ovviamente) contro la quale non valgono, ovviamente, né la nostalgia né il lamento.
Cos’è l’identità? A cosa serve? In ultima analisi si potrebbe dire che è un patrimonio che, se c’è per tradizione, può avere un ruolo, progressivo (coesione sociale) o regressivo (chiusura e resistenza al cambiamento).
Tocca comunque a chi è responsabile alimentarla o ri-costruirla in senso positivo, come una fondamentale risorsa di una società che vive, che assume il passato non come una condanna, e progetta il futuro non come una evasione.

 

Ambiente, territorio, infrastrutture

Dott. Giuseppe “Popi” Miotti
Per iniziare ho cercato di chiarirmi quali potrebbero esser gli aspetti del territorio che secondo me potrebbero aiutare a creare un’identità valtellinese. Li elenco senza dare un particolare ordine.
- La posizione centrale nell’arco alpino, che fa del sistema Valtellina e Valchiavenna un ponte fra l’est e l’ovest, fra il nord ed il sud.
- La forma: il nostro territorio è come un manubrio le cui manopole, Valchiavenna e alta Valtellina, sono legate dall’asse che passa per Tirano, Sondrio e Morbegno. Questo concetto se sviluppato correttamente potrebbe forse aiutare un domani a rinsaldare un senso di appartenenza comune.
- La doppia catena montuosa che delimita la Valtellina da est a ovest (questo aspetto
è forse meno evidente per la Valchiavenna, aperta verso sud).
- Il fiume, o meglio i fiumi (Adda e Mera) che insieme entrano nel Lario.
- Le acque in generale, torrenti, rogge, cascate e laghi alpini: senza di esse le nostre valli darebbero un desolante spettacolo.
- La montagna come elemento con il quale per secoli si è avuto un rapporto molto stretto legato all’economia forestale e agro pastorale, rapporto che dovremmo recuperare con una nuova valenza, cercando la convivenza e la sinergia fra attività tradizionali, ancora esistenti, e turismo.
- La grande varietà di ambienti e di paesaggi della nostra montagna che in questo senso è unica nelle Alpi. (lo dimostra il fatto che riusciamo ancora ad attrarre turisti nonostante il pessimo marketing).
- Quel che resta degli antichi borghi (urbanistica ed architettura), conserva una pre cisa impronta sociale e culturale che bene identifica la popolazione valtellinese, anche in funzione della quota e dell’ambiente ove si è insediata.
- La catena di chiese, vera e propria unicità del paesaggio di mezzacosta, che cattura inevitabilmente lo sguardo di chi lo solleva verso le cime.
Purtroppo, se molteplici sono gli aspetti potenzialmente identitari per una “valtellinesità”, bisogna ammettere che ben pochi o nessuno di questi è mai stato riconosciuto e utilizzato allo scopo.
Volendo andare a ricercare un comune senso d’identità e appartenenza fra le popolazioni della provincia, fin dai tempi antichi lo vediamo comparire solo in epoche eccezionali o durante gravi emergenze; poiché quella stessa caratteristica geografica sopra citata fra i punti di possibile unione è sempre stata l’elemento che ha di fatto suddiviso il territorio in tre aree e tre culture diverse.
Storicamente e geograficamente, infatti, Alta Valtellina e Valchiavenna sono aree abbastanza omogenee e vaste, delle “macroidentità”, dove resiste un diffuso senso di appartenenza. Lungo l’asse mediano, invece, quasi ogni borgo ha sviluppato una sua tradizione tendendo a fare “parrocchia” a sé, mettendosi a volte in competizione con i vicini anche quando forse sarebbe convenuto unire le forze.
Oggi, inoltre, quei pochi e deboli elementi di identità e appartenenza che potevano funzionare un tempo, si sono ulteriormente indeboliti, soprattutto in seguito ad un lungo processo di svalutazione della “valtellinesità” che, seppure senza una vera premeditata regia, ha lavorato per almeno cinquant’anni e tutt’ora prosegue nella sua opera corrosiva.
Nonostante, infatti, periodicamente sorgano voci più o meno forti ed autorevoli che vagheggiano autonomia ed identità, in vero i politici, ma anche tutte le organizzazioni presenti sul territorio, non sembra abbiano mai preso in seria considerazione un progetto condiviso che puntasse in questa direzione; forse anche per un atteggiamento, a metà fra senso d’inferiorità verso l’esterno e presunzione verso l’interno, che ci ha portato a preferire che la nostra terra diventasse una periferia della metropoli.
Esempi di tale scelta si manifestano nel disordine urbanistico e nella differenziazione architettonica, spesso di pessimo gusto, degli edifici civili, oppure nell’assenza di una politica d’immagine unitaria per i nostri prodotti (ad esempio, secondo me, il vino dovrebbe essere tutto “Valtellina” e portare come sottoindicazione la località di produzione: Valtellina Sassella, Valtellina-Maroggia…).
In altri ambiti è capitato di sentire esponenti della “cultura” locale che di fronte ad un illustre ospite quasi gongolavano spiegando che il bitto non è tutto bitto e la bresaola la fanno con la carne argentina. Insomma, i primi a fare pessimo marketing siamo proprio noi. Eppure è innegabile che ancor oggi, e a dispetto di tutto, la nostra cultura resta sempre più legata a quella delle vicine nazioni alpine che non a quelle della pianura.
Il sentire con disagio la nostra “valtellinesità” ha sicuramente pesato negativamente anche nei rapporti con lo Stato e il nostro territorio, che da sempre meriterebbe l’autonomia, appare invece una sorta di “provincia dell’impero”. Non mi dilungo in esempi, ma ne faccio due per tutti: la fornitura di energia elettrica con tutte le sue implicazioni socio-ambientali e lo sbilancio fra tassazioni e reimpieghi statali sul territorio.
Io sono valtellinese e ne sono fiero, ma per giungere a tale considerazione, ho dovuto pensare la storia e camminare per giorni sui sentieri spesso abbandonati, su mulattiere lastricate dai nostri avi con tanta pazienza che non bastava una vita per vederle finite. Si parla di “viticoltura eroica”, ma tutta la presenza umana in Valtellina e Valchiavenna è eroica ed ha prodotto una civiltà unica, poco conosciuta e che, a mio avviso, può essere uno degli elementi identitari più forti: il valtellinese è colui che, con grandissimo ingegno e sacrificio, ha saputo trovare il modo di vivere “bene” fra le montagne.
Purtroppo l’abitudine al sacrificio ed il fatalismo, conseguente a questo tipo di vita, ci hanno forse resi anche un pò troppo passivi e fatalisti per natura, caratteristica spesso scambiata per stupidità, che non ha certo reso un buon servizio alla nostra valle.
Anche le comuni radici storiche (e la storia locale andrebbe insegnata nelle scuole), dovrebbero spingere verso una nuova coscienza identitaria. Purtroppo, contro questa prospettiva lavorano anche una scarsa etica sociale e la diffidenza verso il nuovo, che spingono le varie comunità ad un particolarismo spesso ottuso e autolesionista. Di sicuro il diffondersi dell’informazione, la facilità di accedere ai media (internet, giornali, TV), la conoscenza di esperienze altrui, l’aumento del livello culturale, stanno portando ad un miglioramento della situazione, ma è a questo punto che occorrerebbe recuperare il senso di una comunità e di una identità e vestirlo a nuovo, prima che sia troppo tardi. Una maggiore “valtellinesità” sarebbe quindi più che auspicabile. Come i nostri avi hanno saputo valorizzare la montagna, così oggi dovremmo saper trarre il meglio da una nostra identità, positivizzandone, magari, anche gli aspetti peggiori o apparentemente tali e imparando a prenderci anche un pò meno su serio; perché il valtellinese, oltre che “duro come un sasso”, appare, spesso, anche un pò tetro e serioso. Questa identità nuova o rinnovata dovrebbe diventare il filtro comune per le future iniziative progettate sul territorio. Fare le cose sentendoci tutti parte di un’unica terra non potrà che essere motivo di maggiore entusiasmo, anche se richiederà, probabilmente, una maggiore disponibilità da parte delle comunità più forti e radicate. Dovremmo fondere le mentalità per puntare ad un obiettivo comune ed avere il coraggio di grandi iniziative come potrebbe essere quella di realizzare una ferrovia fino a Bormio. Insomma dovremmo imparare a fare “sistema” e ad usare la comunicazione prima al nostro interno, per diffondere l’idea di una nuova identità e poi all’esterno, magari investendo con maggiore costanza. Ma la comunicazione verso l’esterno vuole che anche il nostro territorio sia pronto alla sfida presentandosi con un’immagine assai diversa da quella odierna, a partire dalla ristorazione per giungere alla viabilità.
Oggi ci troviamo di fronte ad un bivio, fra la tendenza allo sfruttamento intensivo e poco sostenibile del territorio (dai capannoni alle seconde case, dalle centraline alle cave) e la vocazione turistica. Credo che prima o dopo bisognerà decidere con maggiore chiarezza e coraggio quale strada imboccare.

Purtroppo però, la direzione sembra già presa: il nostro paesaggio, elemento cardine d’identità, sta pian piano scomparendo sotto l’incalzare di incuria, scarsa pianificazione e cartelloni pubblicitari, ma dovremmo ricordarci che una volta consumato non lo potremo più usare. Eppure da più parti si continua a conclamare la necessità di ampliare, ingrandire, costruire come se solo questi fossero elementi di benessere. Ebbene, in questi anni abbiamo ampliato, ingrandito e costruito, ma assieme al degrado, anche la QUALITÀ della vita in provincia è sicuramente peggiorata.

Da diverse realtà, comprese quelle del Bormiese, sembra crescere l’esigenza verso un cambio di atteggiamento, che punti di più verso una valorizzazione conservativa piuttosto che invasiva, ma per ora sono solo segnali. È inutile domandarci ogni volta come mai, nonostante periodicamente si facciano i mondiali di sci e si ricostruiscano piste ed impianti, il turista non si ferma in Valtellina. Chiediamoci invece se, non avendo in loco una seconda casa, noi sceglieremmo queste vallate per passare una vacanza di più giorni, magari con la famiglia. A me verrebbero in mente altre zone alpine, la Slovenia, la Svizzera, il Trentino-Alto Adige, la Savoia. Se fino a poco tempo fa ero fiducioso che si potesse cambiare questa corsa autodistruttiva, oggi mi sono convinto che, ormai, la partita è quasi persa. Non lo dico per pessimismo, perché tale non mi sento; la considerazione viene da sé ogni qualvolta torno in “valle” dopo aver visitato altre regioni alpine fino a pochi anni or sono meno ricche e fortunate, vedi la Slovenia, e oggi ormai di molto superiori a noi; come stupirsi se la guida Lonely Planet, bibbia mondiale del turista viaggiatore, descrive la Valtellina come “la meno interessante delle vallate alpine”? E a questo punto forse c’è da domandarsi a che serva parlare di identità e pensare di rafforzarne il valore.

 

Puntualità identitarie trasformabili in programmi strategici di sviluppo

Dott. Architetto Pietro Stefanelli - Dott. Urbanista Andrea Patroni
Cercando di focalizzare la tematica proposta nell’ambito professionale di cui facciamo parte (ramo urbanistico) intendiamo estrinsecare, di seguito, alcune considerazioni di carattere generale rispetto alle peculiarità strutturali della nostra Provincia. Da questo punto di partenza cercheremo di far emergere una breve riflessione che, speriamo, possa rendere chiaro ciò che possiamo intendere per sviluppo territoriale futuro, dal punto di vista dell’identità intesa come strumento di sviluppo socio-economico.
In primo luogo, vorremo porre l’accento sull’identità della nostra valle. Identità che spesso divide e moltiplica i contrasti, non tanto a livello razziale o ideologico, quanto a livello di riconoscibilità e concretezza sul piano esistenziale.
Sembra che la Valtellina e la Valchiavenna non debbano essere viste come unicum identitario. Nessun piccolo centro si sente parte di un sistema e nemmeno vuole esserne parte. Ogni piccola area urbanizzata vuole riconosciuta la propria autonomia e la propria valenza. Ogni centro abitato vuole essere riconosciuto per particolari meriti storici o tradizionali e non considera plausibile che vi sia un ordinamento superiore (provinciale per es.) che possa inglobare e suggerire obiettivi comuni.
Nella nostra valle vige l’idea che ognuno fa e deve fare per sé, autonomamente e indipendentemente dagli altri. Se è questo che intendiamo per identità, non crediamo che possa realmente essere un’opportunità di sviluppo.
Al contrario, riteniamo che questo modo di vivere la propria identità possa porre diversi paletti di vincolo alla crescita del sistema socio-economico provinciale.
Riteniamo, quindi, che sia importante abbandonare questo modo d’intendere l’identità ed acquisire una nuova visione strategica. Una visione che si distacchi per un momento dalle centinaia di campanili e volga, finalmente, lo sguardo verso un sistema sovracomunale. Un sistema inteso come interezza di territorio e di risorse, non solamente come pura individuazione cartografica.
Ma il problema ancor maggiore è la mancanza di visioni unitarie anche all’interno delle puntualità provinciali. Gli operatori economici, solitamente, si scontrano tra loro e non interagiscono nel creare unitarietà d’azione e di strategie per il miglioramento delle loro condizioni operative e funzionali. Lavorano asinotticamente, senza alcuna linea guida unitaria e in regime concorrenziale puro anche tra di loro. Purtroppo è pensiero comune che la dimensione del mercato sia proporzionale alla grandezza dei propri centri. Non si pensa nemmeno, quindi, di operare in ottica globale, ma si lavora dal punto di vista puramente locale e localizzato.
Questi caratteri si possono riscontrare in molti tipi di attività presenti in Provincia, e non solo a livello privato. Anche gli operatori pubblici, infatti, lavorano in ottica assolutamente locale e puntuale e non sistematica e concertativa.
Ne sono testimonianza le politiche pubbliche che vengono proposte e che dovrebbero tracciare le linee guida per lo sviluppo della Valle. Tralasciando quelle di scala puramente comunale, anche a livello mandamentale e provinciale il metodo operativo consolidato porta ad incentivare le puntualità, piuttosto che a raccoglierle a sistema.
È, infatti, pratica consolidata procedere per finanziamenti a pioggia e non riflettere sulla costruzione” di un piano di sviluppo unitario e strategico.
Se, invece, intendiamo l’identità sotto l’aspetto delle tradizioni, delle risorse e delle peculiarità territoriali, riteniamo che la Valtellina e la Valchiavenna siano ricche di identità. Possediamo, infatti, un immenso patrimonio di identità che può distinguere il nostro territorio da molti altri.
Pensiamo alla tipicità e alla qualità dei nostri prodotti, alle peculiarità ambientali e paesistiche del nostro territorio, ai caratteri tradizionali che connotano i nostri piccoli centri e al patrimonio artistico e storico che possediamo. Tutti elementi che indubbiamente potrebbero essere ricondotti all’identità dei nostri centri, o meglio, che potrebbero “costruire” l’identità Provinciale.
Caldeggiamo apertamente una valorizzazione di tali risorse che indubbiamente appartengono ai diversi “campanili” della nostra realtà, ma che dovrebbero essere condivise ai fini dello sviluppo socio-economico globale.
Riteniamo, infatti, che per essere competitivi nella logica di mercato globale, che oggi contraddistingue il sistema economico mondiale, si debba abbandonare l’ideologia di soggetto indipendente e “sposare” quella di organismo economico e sociale. Un organismo che raccolga tutte le proprie componenti e le utilizzi per il raggiungimento di un unico obiettivo.
Ecco, quindi, che speriamo venga abbandonata la compartimentazione delle attività e dei settori e che, per una volta, si lavori unicamente per lo sviluppo dell’intera Valtellina. Non ne faremmo, quindi, una ragione settoriale, ma vogliamo proporre un ragionamento di sviluppo che lavori attraverso una commistione di interessi, proposte, politiche e strategie.
Non crediamo, infatti, che le imprese possano essere scisse dall’agricoltura, dal turismo, dal commercio, dai trasporti ecc.. Vogliamo proporre, invece, un modo per esaltare le peculiarità di ogni settore, ma in modo che possano contribuire, ognuna a suo modo, a generare sviluppo. Vi chiediamo, per cortesia, di pensare ad una sorta di concatenazione circolare che produca un ciclo economico autosufficiente e sostenibile a livello territoriale.
Un ciclo che si interfaccia con il nostro ambiente rispettandolo. Né sfruttandolo e calpestando le sue potenzialità, ma nemmeno, di contro, “mummificandolo” e chiudendolo in una teca, come fosse una sorta di cartolina immodificabile.
Spero, anzi, che la visione ambientale odierna venga abbandonata per lasciare spazio a vistosi miglioramenti. Il raggiungimento di questi miglioramenti, però, non deve essere perseguito attraverso occasionali progettazioni promosse dalla Pubblica Amministrazione (vedi progetto di recupero ambientale dell’asta dell’Adda e della Mera) che, una volta portate a termine non determinano alcun effetto benefico nel lungo periodo.

 

Sarebbe, invece, estremamente più importante che il soggetto pubblico utilizzi le risorse per accompagnare gli operatori privati nel generare condizioni ambientali, economiche e sociali migliori rispetto a quelle odierne.
Riteniamo che la nostra Provincia debba porsi un obiettivo chiaro da perseguire e su cui basare lo sviluppo.
Per le condizioni geomorfologiche, paesistiche, ambientali e culturali presenti, crediamo che tale obiettivo possa ben identificarsi nella massima espansione del settore turistico. Pensiamo, infatti, alla ricchezza del nostro comprensorio che va dal paesaggio lacuale a quello alpino, al numero di opere storiche che insistono su di esso (non solo palazzi e chiese, ma anche versanti segnati dalle grandi guerre), alla quantità di tradizioni popolari che ancora permangono, al numero di coltivazioni che nella nostra valle si sono sviluppate, all’artigianato tipico e alla potenzialità di alcuni dei nostri centri storici (intesi come nuclei rurali e ambientazioni davvero suggestive dal punto di vista paesistico), alle potenzialità dei nostri comprensori sciistici, se fossero visti unitariamente. Ci chiediamo e vi chiediamo, quale altro territorio possiede contemporaneamente tutte queste ricchezze intrinseche?
Scegliamo, quindi una volta tanto, che obiettivo di sviluppo vogliamo perseguire e utilizziamo tutto ciò che possediamo per raggiungerlo.
Attenzione, non stiamo proponendo di abbandonare i settori che non entrano direttamente a far parte del circuito turistico, ma di utilizzarli tutti per perseguire il massimo sviluppo del settore principe.
Pensiamo, per esempio, ad un ciclo economico che valorizzi il settore agricolo come opportunità per una qualificazione ambientale e paesistica. Per ottenere la massima manutenzione territoriale possibile e rendere “spendibile” turisticamente l’intero territorio Provinciale non crediamo ci sia migliore attività che quella agricola.
Attività che non deve rimanere statica alla monocoltura della vite e del melo, ma che deve espandere la propria visione e riattivare quelle forme di manutenzione territoriale che possano aggiungere valore al nostro territorio. Ovviamente, come sempre, questo settore non può lavorare “da solo”. Ha bisogno dell’apporto di politiche di marketing appropriate, che possano esaltare le peculiarità e la qualità di prodotto rendendo remunerativa l’attività agricola. Addirittura potrebbe essere il turismo a rendere questo servizio all’agricoltura integrando nel proprio ciclo i prodotti tipici e facendo da mezzo pubblicitario per la terra e i suoi “frutti”.
Guardate che non stiamo facendo riferimento a cantine di grosse dimensioni che faticano ad operare in concertazione con chi lavora la terra. Piuttosto crediamo che si debba ripartire a valorizzare i produttori locali creando opportunità di mercato interessanti.
A sua volta, l’agricoltura, potrebbe costruire le condizioni ambientali per aumentare le presenze turistiche e proporre la Provincia come unità “spendibile” a livello turistico. Ecco, quindi, che potrebbe essere interessante valorizzare ed incentivare la pratica agrituristica (quella vera non quella millantata in questi anni) e inserire nel ciclo economico la vendita delle produzioni locali.

 

Da questo potrebbe nascere un recupero della coltura dei castagneti, del grano saraceno, dei piccoli frutti delle erbe officinali, della filiera del legno ecc..
Proprio su quest’ultimo campo vorremmo porre un accento maggiore. Vorremmo far capire che proprio valorizzando i prodotti del bosco questo potrebbe riacquistare importanza nel ciclo economico provinciale. Perché allora non cominciare a creare centrali di teleriscaldamento a partecipazione pubblica, che oltre a raggiungere la massimizzazione del profitto privato guardassero anche al territorio?
Centrali che stipulino convenzioni con gli operatori pubblici e che garantiscano la riqualificazione e il recupero dei comparti boschivi oggi abbandonati. È chiaro che la morfologia del nostro territorio e le condizioni di accessibilità dei nostri territori boscati, ad oggi, renderebbero insostenibili i costi di reperibilità del materiale rispetto ai benefici raggiungibili. Per questo, nel breve periodo crediamo si possa integrare la materia prima locale con risorse provenienti da altri luoghi che permettono una minor spesa. Man mano, però, che il territorio acquisterà accessibilità (data da un recupero di porzioni sempre maggiori di suolo) crediamo che i comparti di foresta adatti all’operazione di recupero saranno in numero sempre maggiore.
Questa operazione, oltre ad un recupero territoriale d’area vasta, potrebbe permettere di rivalutare i prodotti del bosco e di recuperare la filiera del legno per farne legname da opera. Chiaramente su questa tematica sarebbe interessante poter sentire il parere di un tecnico forestale che potrebbe determinare con certezza quali terreni risultano adatti alla coltivazione di legname da opera.
Una volta riscontrata la possibilità di recupero della coltura del bosco, anche le segherie locali potrebbero trarne grosso beneficio potendo utilizzare, finalmente, materiale locale e non importandolo.
Sempre nell’ottica di collaborazione sovra proposta riteniamo che le strutture ricettive potrebbero proporre i prodotti agricoli locali ed anche il commercio potrebbe essere basato sulla valorizzazione delle nostre produzioni. Pensiamo a punti vendita di prodotti di certificata provenienza locale e non solo dal punto di vista agro alimentare.
Facciamo riferimento alla lavorazione del legno, del ferro battuto, della pietra ollare, dell’ardesia, insomma di tutti i materiali locali, da far conoscere, dapprima ai turisti e, in seguito, al mercato come eccellenze. Anche queste produzioni potrebbero valorizzare il marchio Valtellina naturalmente in un reciproco accordo e ritorno di vantaggi turismoartigianato.
Una volta che gran parte del territorio verrà investito da questa operazione di recupero, crediamo si possa ipotizzare una localizzazione dei fruitori turistici espansa a tutta la Valtellina e Valchiavenna e non localizzata puntualmente in alcuni nodi (Livigno, Bormio, Aprica, Teglio ecc.). Ecco che allora cominceranno ad acquisire valenza anche i centri urbani minori, anche se con i loro negozi di modeste dimensioni.
Pensiamo ai centri storici con la loro architettura rurale, all’architettura sacra e a quella di pregio storico.
Una volta inseriti in un circuito di interesse turistico potrebbero veramente acquisire portanza e non più, come oggi, punteggiare la nostra provincia con grosse difficoltà di fruizione e accessibilità per mancanza di visibilità e sostegno da parte del circuito economico (a livello di inserimento in esso).

 

Pensate che cosa potrebbero divenire i nostri centri storici se recuperati ed adattati ad ospitare dei mini centri commerciali a misura d’uomo. Pensate se gli operatori capissero che si potrebbe lavorare come un unico grande soggetto, ognuno con la sua specializzazione non in competizione tra loro, ma come un’unica società che offrisse prodotti d’alta qualità e si proponesse in una sorta di struttura commerciale diffusa su tutto il territorio. L’esempio ci viene addirittura dall’iniziativa che già alcuni grossi centri commerciali hanno avviato all’interno della loro rete di distribuzione (Iperal per esempio).
Crediamo che questo potrebbe essere uno dei pochi modi per far sopravvivere il cosiddetto commercio di paese, che non sia solamente e prettamente alimentare nel senso più stretto del termine (generi di prima necessità per intenderci).
Anche quest’operazione servirebbe a creare turismo e trarrebbe grosso beneficio dal sistema turistico.
È chiaro a tutti, inoltre, come l’ambiente urbano trarrebbe giovamento da un’operazione del genere.
Infatti, il problema della dequalificazione urbana (soprattutto intesa come abbandono e mancata ristrutturazione dei vecchi edifici in luogo di nuove costruzioni) è uno dei grossi problemi che avvertiremo in futuro e che già oggi è presente.
Crediamo, quindi, che per dare risposta a questo problema occorra un metodo operativo che inneschi un circuito economico sostenibile, altrimenti difficilmente il problema potrà trovare soluzione.
Ovviamente, saranno i centri turistici che operano già oggi i primi a dover ampliare la loro offerta, oggi, fondamentalmente legata all’inverno.
Sono proprio loro i primi a dovere fare di necessità virtù.
Necessità perché oramai è nota a tutti la difficoltà a sopravvivere solamente con una cultura turistica monotematica, come quella legata alla neve. Sono, quindi, loro i primi a dover ampliare la loro offerta proponendo altri sport, turismo territoriale, termale e ambientale. Perché, quindi, non legare questi centri a centri minori veicolando i flussi turistici su bellezze culturali, paesistiche e ambientali e creando i presupposti di una collaborazione d’area vasta.
Pensiamo, per esempio, alla possibilità di organizzare giornate al lago, seguite da visite guidate in aree rurali dove, magari, allestire il museo della coltivazione e lavorazione delle materie prime (cercando di creare una sorta di museo diffuso dei mestieri e delle tradizioni in tutta la Provincia), a giornate all’insegna del gusto, oppure della storia valorizzando i percorsi delle grandi guerre, a rivalutare i nostri fiumi recuperandoli e organizzando attività su di essi, o ancora, a implementare ulteriormente il museo interattivo (via web) dei palazzi Salis in raccordo con i Grigioni. È chiaro a tutti che potremmo continuare ancora per molto a portare esempi del genere. Ovviamente, per rendere concrete queste possibilità occorrerebbe preparare il territorio, magari utilizzando le strategie che abbiamo esposto in precedenza.
Ecco, quindi, che in questo contesto potrebbe inserirsi a pieno titolo un altro attore. Ci riferiamo alla creazione del Polo Tecnologico Valtellinese che indubbiamente potrebbe aggiungere ancor più valore, aiuto e prestigio ad una Provincia come la nostra.

 

Crediamo, infatti, che la struttura tecnologica possa benissimo lavorare su due livelli differenti. In primo luogo a livello Provinciale, ma, in parallelo, proporsi anche a livello nazionale ed internazionale.
La struttura tecnologica, in uno schema di relazioni come quello proposto, potrebbe raccogliere in se il maggior numero di professionalità possibile relazionandolo agli operatori locali. Ovviamente, ancor meglio se gli addetti della struttura tecnologica fossero rappresentati, almeno in parte, da professionisti e giovani laureati valtellinesi. Ma, allo stesso modo, potrebbe essere sostenibile avere la presenza di ricercatori provenienti da altre aree geografiche, per innestare un processo di confronto fra varie culture che potrebbe creare tutta una serie di benefici indotti (scambio di informazioni, integrazione tra diversi modi di vita, aumento del bacino turistico, ecc.).
Approfondendo il concetto vogliamo credere che la struttura tecnologica lavori per la Valtellina e la Valchiavenna e con la Valtellina e la Valchiavenna. Facciamo solamente un esempio (che fa riferimento al nostro campo operativo) che potrebbe essere riportato a qualsiasi campo d’azione.
Pensate, per esempio, se all’interno della struttura venisse allestito un laboratorio architettonico e urbanistico (in collaborazione con i professionisti locali) che creasse politiche urbane di sviluppo e si proponesse di risolvere problematiche legate alle costruzioni e alla città.
O ancora pensate che cosa potrebbe rappresentare per la nostra Provincia avere la possibilità di far collaborare un architetto e un falegname nella ricerca di produzioni d’avanguardia a livello sia estetico che funzionale.
Crediamo che da questo potrebbe essere generata una grossa competitività nel mercato globale non come operatore x, ma piuttosto come prodotto Valtellina.
A livello nazionale e internazionale, poi, sarebbe auspicabile che il Polo lavori proponendo soluzioni e rispondendo alle esigenze del mercato globale sempre alla ricerca di processi e prodotti innovativi tesi a migliorare le condizioni odierne, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore.
Ovviamente, nel breve periodo dovrebbe essere la struttura stessa a proporsi sul mercato, magari partecipando anche a concorsi pubblici, ma una volta affermata riteniamo che la struttura possa essere ricercata dagli operatori per le proprie competenze. Anche questa potrebbe essere una fonte di promozione per il marchio Provinciale.
Vorremmo concludere dicendo che una volta costituito il sistema Valtellina potremmo veramente essere competitivi in ottica di mercato globale affermando la nostra identità, ma non come singolo settore o Comune, bensì come eccellenza di ciclo economico autosufficiente e promozionale del territorio.
Ecco che allora ogni singola identità diventerà importante per l’intero sistema provinciale e verrà valorizzata, in un’ottica sistematica, a livello sovralocale.

 

Lavoro, economia, innovazione, sviluppo, tecnologia

Dott. Massimo Timini (Associazione Provinciale Allevatori di Sondrio)
L’agricoltura con le sue tradizioni, i suoi prodotti, la forte impronta trasmessa al paesaggio, è univocamente riconosciuta come elemento cardine dell’identità locale, e come supporto imprescindibile alle iniziative di sviluppo economico di Valtellina e Valchiavenna. Con particolare attenzione all’indotto agro-alimentare ed al richiamo turistico.
Scontato il conosciuto fenomeno dell’abbandono dell’attività rurale, caratteristico in tutto il paese dal dopoguerra a tutti gli anni sessanta, il settore in provincia è in questi ultimi anni stato sì oggetto di un assestamento in termini di volumi produttivi, ma anche di una rinnovata emorragia per quanto riguarda il numero delle aziende. In ambito zootecnico, per dare la dimensione di quanto affermato, si è passati dagli 11600 allevamenti con bovini nel 1965, ai 1400 del 2005. Dalle 25.000 vacche da latte, alle 14500 del 2005. Il mantenimento dei volumi produttivi sta invece nel fatto che la produzione media per vacca era pari a 35 q.li/anno nel ‘65, contro i 60 attuali. Il fatto che il 75% delle aziende attive, tra le quali poco meno di 700 titolari di “quota latte”, si collochino in una fascia che conta un massimo di 10 vacche è indicativo di come l’esercizio dell’attività zootecnica a tempo pieno sia largamente minoritaria. Un dato che potrebbe essere considerato positivo qualora si operasse in quel regime di “multifunzionalità” da più parti teorizzato, ma che si scontra con l’attuale confronto di mercato, che si colloca in un panorama regionale poco sostenibile per una zootecnia alpina, a costi di produzione decisamente superiori.
Oltremodo significativo prendere in esame la situazione fondiaria, peraltro sotto gli occhi di tutti. Nel lasso di tempo intercorso tra gli ultimi due Censimenti Generali dell’Agricoltura, dal 1990 al 2000, le superfici foraggiere del fondovalle si sono contratte del 25% per il prato e del 35% dei seminativi. Un fenomeno che non ha subito rallentamenti, ma piuttosto accelerazioni negli anni successivi. Altre caratteristiche della nostra situazione fondiaria sono la scarsa incidenza del titolo di possesso dei coltivatori, quasi sempre limitato al solo insediamento degli edifici rurali, e l’estrema polverizzazione. Asfittico il mercato fondiario in ambito agricolo, vuoi per la non necessità di alienare le proprietà, ma soprattutto per l’aspettativa di maggiore rendita in seguito ad un’eventuale variazione di destinazione d’uso delle superfici. La contrazione della superficie agraria utilizzata (SAU) ha come conseguenze la diminuzione dell’autosufficienza foraggiera, con aggravio di costi e problemi nella possibilità di riuso agronomico dei reflui zootecnici. Di più: la minore produzione foraggiera rende difficile, se non proibitivo, l’ottemperare al disciplinare di produzione del Valtellina Casera DOP.
Riflessi anche per quanto riguarda l’alpeggio, una pratica che negli ultimi anni si è rivalutata, a fronte di un deciso declino avvenuto sempre tra gli anni ‘60 e ‘70. A rallentare l’abbandono dei pascoli in quota principalmente due fattori: la costituzione della DOP per il Bitto, con la possibilità di produrlo in tutta la provincia, e gli aiuti erogati nell’ambito dei Regolamenti agro-ambientali CEE e poi del Piano di Sviluppo Rurale. Le dinamiche di fondovalle si ripercuotono però gioco forza anche sull’alpeggio, in seguito alla cessazione delle attività da parte, come si è visto, di un numero rilevante di aziende.
Torniamo quindi al tema dell’identità: quanto a lungo si può ancora insistere in un approccio che rischia di essere più iconografico che reale, senza riconsiderare con serietà una situazione vicina ad un punto di non ritorno, ma il cui declino è destinato ad influire negativamente su parecchi aspetti della vita sociale ed economica delle nostre valli? Come identificarsi in prodotti che potrebbero non più esserci, in un territorio dove il paesaggio agrario si vede prevaricato oltre il ragionevole?
L’APA di Sondrio è impegnata a rendere evidente a tutti i livelli la realtà che riscontra attraverso il rapporto quotidiano con i produttori e con i dati tecnici raccolti nell’ambito delle proprie attività. Prima ancora è impegnata ad assistere le aziende in un percorso di ammodernamento dei processi produttivi che abbini il rispetto delle peculiarità locali, sia per quanto riguarda il territorio che le produzioni, con le esigenze di qualità di vita e di lavoro degli addetti. Un’attenzione rivolta in particolare alla qualità, che ha visto l’APA di Sondrio, tra i primi, dare contenuto e realizzazione ad iniziative di Certificazione di Filiera: da prima quella del Valtellina Casera della Latteria Sociale di Delebio, poi quella della carne della Cooperativa Stalla Sociale Valchiavenna e, più recentemente, la certificazione della filiera del latte alimentare della Latteria Sociale Cooperativa di Chiuro.

 

Paesaggio e identità

Dott. Arch. Stefano Tirinzoni
Vorrei ad introduzione di questo laboratorio sviluppare alcune riflessioni sul rapporto che intercorre fra il nostro paesaggio e la nostra identità, fra la “Valtellina” ed i “Valtellinesi”.
Il sentirsi smarriti in un paesaggio, il senso dello spaesamento ci prende quando non ci riconosciamo in un luogo, quando non riusciamo a percepire quel qualcosa di familiare, quel qualcosa di consuetudinario, quel “ nescio quid”, quel qualcosa di indicibile che è proprio, solo ed esclusivamente, dei luoghi nei quali siamo nati e cresciuti, in sintesi quando non ritroviamo la nostra identità nel contesto che ci circonda.
Quelli dell’identità e del paesaggio sono due mondi complessi, molto complessi, che non possono essere esplorati in poche righe.
Il rapporto che lega l’identità delle popolazioni con i loro paesaggi è profondo e non casuale; è radicato nell’intimità dei sentimenti ed è culturalmente fondato sul legame inscindibile e duraturo con il territorio di cui il paesaggio è il segno magico.
Mi limito a proporre di estrapolare da questa linea del rapporto identità-paesaggio un piccolo segmento; quello di leggere nei segni visibili del paesaggio le tipicità identitarie della popolazione valtellinese in un’ottica strettamente storico-paesitica e di osservare le forme ancora visibili, leggendo e riconoscendo nel paesaggio quelle che, con carattere di continuità e di permanenza nel tempo, si sono fissate nel territorio in cui viviamo e di rendere esplicito quel paesaggio invisibile che sta al di sotto del paesaggio visibile. Credo di poter individuare ed indicare tre grandi e fondanti tematiche culturali: quella del versante, quella del monte e quella dell’acqua.

Cultura del versante

Questa popolazione ha dimostrato nella sua storia insediativa ancora visibile una particolare propensione ed una straordinaria, eccezionale attitudine a colonizzare il versante; ciò ha significato innanzi tutto l’abitare il versante, il costruirvi le dimore ed il coltivarvi i fondi. Non è che in epoche molto antiche non si siano abitati anche i fondivalle, abduano e Merano soprattutto, ma questi episodi insediativi, dei quali restano solo rare tracce ipogee e quindi rilevabili esclusivamente mediante azioni archeologiche, non appartengono al paesaggio; sono occultati, sono sepolti negli strati delle molteplici alluvioni, sono celati alla nostra percezione, vittime di quel ineluttabile processo di discesa a valle delle montagne in disgregazione, del quale le acque sono il principale veicolo. Abitare il versante ha significato il costruirvi le dimore per gli uomini ed i ricoveri per gli animali dando vita a concentrazioni di edifici in nuclei compatti, che sono espressione di una cultura dell’abitare vicini; il fare comunità, per affrontare tutti insieme le difficoltà, le asperità, le severità del contesto alpino, si è coniugato con il risparmiare quel bene prezioso e limitato che è rappresentato dal terreno, inteso come valore da preservare per la coltivazione e per il pascolo e quindi per sopravvivere.
Coltivare il versante ha comportato da un lato il saper gestire i pendii naturali per pascolare le greggi e per governare la legna dei boschi e dall’altro il saper far fronte alla necessità di modificare la pendenza naturale dei declivi per esercitare meglio le varie forme di coltivazione; ed è questa seconda forma di colonizzazione del versante che ha il maggior connotato identitario; la costruzione della modifica del pendio si motiva sia nel dare ai fondi una minor pendenza, sia nell’aumentare lo spessore ed il tenore di umidità del terreno, conferendogli una maggior potenza produttiva e garantendo vita alla vite ed agli altri prodotti anche in caso di siccità; in una parola terrazzare.
La cultura del terrazzare lascia segni visibili su una grande superficie dei versanti, in primo luogo sui pendii a solatìo, ideali per la difficile coltura della vite, ma anche sui tanti pendii non vitati (sul lato della valle a bacìo e nelle convalli laterali anche ad alte quote) ricavati per consentire la coltivazione del castagno, della patata, della segale, dell’erba da fieno…. ; risultato di eroiche fatiche di generazioni di costruttori di paesaggi si è conservato fino ai nostri tempi e si impone tuttora come il principale carattere connotativo e come la più forte manifestazione identitaria percepibile della valle; è sopravvissuto alle ingiurie del clima grazie ad una costante ed attenta cura della rete di convogliamento delle acque piovane che dilavano i versanti.

Cultura del monte

La seconda tematica identitaria è quella del particolare rapporto con le Alpi; è la cultura del monte, nella quale la montagna è vissuta come tramite per comunicare con il fuori valle.
Non vi è nella identità di questo popolo alcun senso della cima, alcuna pulsione per la vetta, non vi è mai stata, per usare la definizione ormai abusata di alpinismo, alcuna aspirazione alla “conquista dell’inutile”, nessuno si è mai sognato di assommare alle quotidiane fatiche necessarie per sopravvivere quelle inutili e pericolose di scalare le creste ed i picchi cimentandosi nella ardimentosa “lotta con l’alpe”. Sono questi sfizi recenti, curiosità da “ touristes” e da “alpinists”, da ricchi e sfaccendati romantici in cerca di intense emozioni da raccontare.
Vi è invece la cultura del passo, del ricercare, tracciare, attrezzare e gestire il passaggio migliore, il varco, il valico più facile ed agevole attraverso le Alpi per comunicare con l’esterno, con le altre genti di montagna prima di tutto e poi anche con quelle di pianura. Buona parte della rete sentieristica storica ha la sua ragion d’essere in questa tematica del passo, del vivere le montagne come tramite, come occasione di confronto e di mercato con le realtà del resto del mondo, come superamento del confine, come riscatto dall’atavico, e tuttora perdurante, senso della perifericità, come occasione per evadere. Quindi le montagne, che oggi noi leggiamo come ostacolo, come impedimento, furono identitariamente segno del legame con le comunità esterne e non valtellinesi.

Cultura dell’acqua

Il terzo pilastro fondante dell’identità è quello della cultura dell’acqua, intesa e vissuta come vero e proprio elemento vitale. L’acqua per i popoli di montagna è una risorsa naturale che si identifica con la vita stessa, senza la quale non si può concepire di vivere; è un rapporto simile a quello che i popoli del meridione vivono con il sole.

 

La cultura dell’acqua si è storicamente strutturata attraverso un rapporto con un’acqua che è copiosa, precipitante, spumeggiante, fragorosa e rovinosa; è al tempo stesso elemento di vita e di morte perché con i suoi eccessi porta la distruzione; ma questo suo essere rovinosa è vissuto come un fatto naturale e quindi ineluttabile; è la manifestazione tangibile delle montagne che si fanno pianura, offrendo il loro contenuto materico alla costruzione del paesaggio dei conoidi di deiezione e dei fondivalle alluvionali; solo in tal modo si spiega l’ostinazione di alcune comunità a ricostruire pervicacemente sempre nello stesso luogo, allo sbocco delle forre orobiche ad esempio, villaggi e contrade più volte e ripetutamente distrutte dalla furia del torrente.
Questa concezione dell’acqua rovinosa come fatto di natura incontrastabile non ha indotto quindi una cultura del regimare il fiume, dell’arginare il corso d’acqua, dell’imbrigliare i torrenti ed i vagelli, del dominare l’onda devastante della piena; ci sono voluti gli austriaci per portare questo tipo di cultura.
Viceversa vi è una profonda e diffusa cultura del derivare, del captare l’acqua ed incanalarla per portarla altrove, nei luoghi dove serve per soddisfare a due bisogni fondamentali: la gestione del bestiame ed il funzionamento delle macchine.
La disponibilità di acqua in abbondanza è basilare per abbeverare gli animali sia al pascolo che nelle stalle e soprattutto è indispensabile per la lavorazione dei latticini, del burro e del formaggio; l’economia della lavorazione del latte è impensabile senza una disponibilità diffusa sul territorio di acqua fresca, corrente e fluente in grande quantità. E poi l’acqua è l’unica forza motrice disponibile capace di mettere in movimento le macchine per lavorare il legno, il ferro, la lana e la farina, per supportare l’economia delle segherie, delle fucine, delle follature e dei mulini.
Chi percorre con occhi non superficiali le nostre montagne si imbatte ancora in stupefacenti esempi di canaletti e di rogge, che derivano le acque dalle valli più copiose e dalle sorgenti più ricche e con tracciati e profili di grande e sperimentata intelligenza e con opere di ingegneria idraulica spontanea hanno saputo coniugare le leggi della gravità, delle pendenze e delle portate con le difficoltà e le irregolarità dei pendii e che, con il loro farsi rete, hanno irrorato ed innervato vasti territori umanizzati garantendone la sussistenza.
Su queste tre culture del versante, del monte e dell’acqua si fonda a mio avviso il rapporto storico-paesistico fra l’identità della popolazione valtellinese e le forme permanenti del paesaggio della Valtellina, che vengono riconosciute come valori impliciti in ciò che si offre al nostro sguardo ed ai nostri sensi.
Sono solo un punto di partenza per domandarsi come e perché questo rapporto sia evoluto e mutato così profondamente nel tempo fino ad essere per taluni aspetti completamente sovvertito ed abbia generando situazioni spaesanti e stati d’animo di smarrimento e di perdita o di indebolimento di quella identità che, pur con i suoi limiti, pur con le sue inevitabili ristrettezze e nonostante la sua impronta di severità, ha dato comunque per secoli e secoli sicurezza, certezza ed orgoglio di appartenenza ad un certo particolare modo di vivere nel solco tracciato dal ghiacciaio abduano nel cuore delle Alpi.
Sono il substrato culturale del quale non si può prescindere nel momento delle scelte sul futuro di questo silenzioso paesaggio ora così sconvolto e di quella identità ora forse irrimediabilmente perduta nel frastuono della modernità.

 

III - LA FASE ESTENSIVA DELLA RICERCA

3.1. Impostazione, collaudo del questionario e definizione del campione

I risultati raccolti nel corso della fase qualitativa tramite le interviste individuali e le discussioni di gruppo dei workshop, sono stati - come abbiamo detto - doppiamente utili: in primo luogo come osservazioni espresse da persone qualificate, esperte in alcuni settori importati della comunità provinciale e quindi come opinioni autorevoli; in secondo luogo come suggerimenti, diretti o indiretti, per la migliore definizione degli obiettivi di ricerca e - conseguentemente - per una più idonea formulazione delle domande del questionario.

3.2. Il questionario definitivo. Le diverse aree di indagine

Il questionario, dopo successive revisioni conseguenti ad altrettanti pre-testing (e cioè successive verifiche della adeguatezza formale e sostanziale delle domande) è risultato composto da 4 aree, ciascuna delle quali comprendeva un certo numero di variabili e, parallelamente, da un certo numero di domande.
In base ai risultati dei pre-testing le domande relative ad ogni area sono state distribuite in modo alternato lungo il questionario; ciò per ridurre, per quanto possibile, che le risposte relative ad ogni argomento si condizionassero reciprocamente.
La distinzione tra le varie aree è da considerarsi relativa dal momento che molti di questi aspetti sono correlati fra loro. La distinzione pertanto è puramente indicativa e formale.
Prima area: variabili di tipo anagrafico degli intervistati.
La prima area comprende le variabili di tipo anagrafico degli intervistati:

età, genere, stato civile, composizione familiare;

luogo di nascita dell’intervistato e dell’eventuale coniuge;

luogo di residenza ed eventuali residenze precedenti motivi dello spostamento;

professione attuale ed eventuali esperienze precedenti.

Seconda area: integrazione sociale e propensione al cambiamento.
La seconda area comprende le variabili relative all’integrazione dell’intervistato nell’ambiente di vita, alla identificazione con i valori locali presenti e passati, alla eventuale propensione al cambiamento:

soddisfazione per il proprio ambiente di vita e valutazione degli attributi positivi e negativi dell’ambiente stesso;

giudizio sui tempi passati della comunità;

giudizio sulla mentalità locale;

partecipazione alla vita sociale e associativa;

atteggiamento verso le culture diverse.

Terza area: variabili relative ad aspetti di carattere psico-socio-culturale.
La terza area comprende le variabili relative ad aspetti e problemi di carattere psicologici-sociologici e culturali:

interessi ed occupazioni di tempo libero;

fruizione dei vari canali di informazione;

utilizzo di reti informatiche.

Quarta area: previsioni di sviluppo della comunità.
La quarta area comprende le variabili relative alle previsioni di sviluppo della comunità:

problemi sociali emergenti;

attività favorenti od ostacoli allo sviluppo;

tipo di approccio necessario alle iniziative di sviluppo;

identificazione dei possibili attori dello sviluppo.

Il questionario si concludeva con uno spazio riservato ad osservazioni libere e spontanee che non sono state classificate a sé ma utilizzate per meglio comprendere, quando
è stato possibile, le risposte alle singole domande.

 

3.3. I criteri di distribuzione del questionario e di costituzione del campione

La distribuzione e la restituzione dei questionari e la scelta degli intervistati è avvenuta con la collaborazione di singole persone o esponenti di organizzazioni: medici, psicologi, gestori di locali pubblici, enti, comunità montane, amministrazioni comunali.
Ciascuna di queste persone veniva avvicinata dai ricercatori che illustravano loro il questionario, spiegando quali indicazioni dovessero essere date a chi avrebbe compilato il questionario.
Il questionario era accompagnato da una lettera di presentazione ed è stato compilato direttamente dall’intervistato, spesso alla presenza dell’intervistatore che interveniva, quando necessario, a fornire chiarimenti e spiegazioni.
Il campione è risultato composto di 879 persone suddivise nelle cinque zone della provincia di Sondrio in rapporto alla numerosità della popolazione; a questo criterio principale si è aggiunto, nel corso dell’indagine, un secondo fattore che ci è parso opportuno non trascurare: la disponibilità, o meglio, la motivazione attiva a essere intervistati.

 

Al termine della raccolta dei questionari il campione è risultato così ripartito:
Soggetti coinvolti suddivisi per genere e per distretto di residenza

Distretto

di residenza

Maschi

Femmine

Totale

Distretto

di residenza

Frequenza

Percentuale

Frequenza

Percentuale

Sondrio

67

33,67%

132

66,33%

199

Bormio

91

55,83%

72

44,17%

163

Chiavenna

72

39,13%

112

60,87%

184

Morbegno

68

36,56%

118

63,44%

186

Tirano

61

41,50%

86

58,50%

147

Totale

359

520

879

 

IV - RISULTATI DELL’INDAGINE ESTENSIVA

4.1. Prima area: variabili anagrafiche

Età, genere, stato civile, composizione familiare

L’età degli intervistati varia dai 18 agli 85 anni, con un’età media di 43,40 anni. Nel grafico che segue (n.1) è riportata la distribuzione per età.

Distribuzione per fasce d’età del campione


40

Le altre caratteristiche del campione, vale a dire stato civile e composizione familiare, sono le seguenti:

le persone coniugate ammontano a 62,4%, mentre nubili/celibi sono il 37,2%;

coloro che hanno figli sono pari al 58,5% e la numerosità dei figli è la seguente:

- il 28,3% ha due figli
- il 17,5% ha un figlio
- il 9,3% ha tre figli
- il 2,5% ha quattro figli

Luogo di nascita dell’intervistato e dell’eventuale coniuge

Per quanto riguarda il luogo di nascita, l’83,4% degli intervistati è nato in provincia di
Sondrio, il 10,6% in altre località italiane e il 3,9% all’estero.
Anche il luogo di nascita del coniuge si discosta di poco dai dati precedenti: infatti, i coniugi nati in provincia sono pari all’80,4%, i nati in altre località nazionali sono il 12,7%, mentre i nati all’estero il 5,5%.

Luogo di residenza ed eventuali residenze precedenti - motivi dello spostamento -

Un altro dato interessante è quello relativo ai luoghi di residenza precedenti: risulta, infatti, che la gran parte degli intervistati non si è mai mossa dal proprio luogo di residenza, valore pari ad una percentuale maggiore del 70%, mentre una consistente minoranza si è spostata per studio o per lavoro, in provincia di Sondrio o, in prevalenza, in altre località italiane. Del tutto irrisoria è la percentuale di coloro che hanno risieduto all’estero (meno dell’1%).
Nel complesso, pertanto, il campione appare costituito da persone ben radicate nel proprio luogo di nascita e residenza.

Professione attuale

Per quanto riguarda la professione svolta, il campione risulta essere composto da persone che appartengono alle principali attività professionali, come riportato nella tabella seguente:

 

Settore professionale

Risposte

Percentuale

Impiegato

Lavoratore presso la pubblica amministrazione

Pensionato

Libero professionista

Lavoratore nell’ambito della formazione

Operaio

Studente universitario Casalinga Commerciante Artigiano

Agricoltore Imprenditore Disoccupato Sacerdote

Mancate risposte

21,5%

11,1%

14,4%

9,8%

9,1%

7,9%

6,7%

6,0%

4,0%

2,8%

1,9%

1,6%

0,7%

0,1%

2,4%

 

4.2. Seconda area: integrazione sociale e propensione al cambiamento

a) Soddisfazione per il proprio ambiente di vita e valutazione degli attributi positivi e negativi dell’ambiente stesso

Una prima domanda di questa area ha esplorato il grado ed il modo di integrazione dell’intervistato con il proprio ambiente.
Riteniamo, infatti, che il rapporto con l’ambiente quotidiano di vita, ed il giudizio che si nutre sulle sue varie caratteristiche, rappresenti un indice interessante di adattamento vitale, una sorta di pre-requisito necessario per dare fiducia, senso di appartenenza: un fattore quindi certamente non irrilevante per la costruzione e la conferma dell’identità.
Per questo la domanda del questionario era formulata in modo da rilevare gli attributi positivi e negativi secondo cui l’intervistato valuta il proprio ambiente di vita.
Le risposte che abbiamo ottenuto dimostrano una netta prevalenza degli attributi di carattere positivo.

 

L’ambiente locale di vita è, infatti, stato descritto nel modo seguente, come riportato nel grafico:


Appare evidente come la percezione dell’ambiente sia un costrutto complesso di elementi naturali e di elementi umani e come la valutazione espressa riguardi sia gli aspetti naturali o estetici dell’ambiente, sia quelli relativi alla convivenza sociale.
Gli attributi “tranquillo” e “sicuro” sono riferimenti precisi alle modalità sociali secondo cui l’ambiente viene percepito ed interpretato; non irrilevante, a questo proposito, appare la notevole differenza nella valutazione dei due attributi, quasi che la prevalente tranquillità non garantisca in eguale misura la sicurezza.
A conferma dell’interesse per gli aspetti relazionali dell’ambiente stanno anche le valutazioni di carattere negativo che appaiono prevalentemente rivolte non agli aspetti naturali o paesaggistici ma a quelli socio-culturali:


 

 

Anche i commenti liberi che hanno accompagnato le risposte o le osservazioni spontanee che hanno concluso il questionario, ripropongono questo tipo di valutazioni:

l’ambiente è infatti giudicato positivamente nei suoi aspetti paesaggistici, naturali, igienici e si esprimono preoccupazioni per quella che viene ritenuta una insufficiente salvaguardia ed una scarsa valorizzazione di questi aspetti;

l’ambiente è giudicato positivamente nei suoi aspetti di sicurezza sociale: il termine

“tranquillità” viene spesso enfatizzato;

l’ambiente viene giudicato meno positivamente per quanto attiene non al presente ma al futuro: le sue caratteristiche progettuali ed innovative (tecniche, formative, cul turali) vengono giudicate scarse e poco promettenti.

Le risposte che abbiamo ottenuto a questa prima domanda denotano una certa variabilità connessa al genere (maschile o femminile) ed all’età.
Per quanto riguarda le differenze di opinione fra gli intervistati dei due generi, si è potuto rilevare che le donne appaiono più critiche verso gli aspetti socio-culturali dell’ambiente e sottolineano più degli uomini gli aspetti negativi:


Attributi negativi del proprio ambiente di vita per genere

Risposte

Percentuale

Risposte

Maschi

Femmine

Monotono

11,5%

13%

Poco stimolante

14,8%

22,5%

Privo di iniziative

6,8%

10,4%

 

Questi dati confermano i risultati della ricerca precedente che abbiamo citata ed anche le osservazioni raccolte nel corso della fase qualitativa della ricerca presente.
Per quanto riguarda l’influenza dell’età, le risposte indicano come i più giovani valutino il proprio ambiente in maniera più critica focalizzando la loro attenzione sugli aspetti socio-culturali.

L’attributo “monotono“, che come abbiamo visto, totalizza poco più del 12% nel campione globale, sale a più del 17% nella fascia di età dei più giovani e scende poi nelle altre fasce (11 e successivamente 4%).

L’attributo “poco stimolante“ sale dal 19% del campione globale al 29% nel gruppo dei più giovani e poi decade abbastanza rapidamente negli intervistati delle fasce di età più adulta (18 e successivamente 6%).

L’attributo “privo di iniziative“ segue lo stesso andamento: dal 10% del campione globale sale al 14% nei più giovani e poi decade.

 

Per controllare i giudizi precedenti e verificare se il giudizio espresso sull’ambiente di vita condizioni il grado generale di adattamento, abbiamo posto una seconda domanda nella quale si chiedeva espressamente:
È soddisfatto del suo ambiente di vita?

Risposte

Percentuali

Sì, soddisfatto

No, insoddisfatto

Incerto o Mancata risposta

86,3%

7,9%

5,8%

 

La differenza fra giudizi positivi e negativi è tale da non richiedere commenti particolari.

b) Giudizio sui tempi passati della comunità

Una ulteriore domanda della stessa area ha esplorato il giudizio non sul presente ma sui

tempi passati della comunità.

È evidente come il ricordo delle esperienze trascorse direttamente oppure la valutazione di quelle raccontate dai genitori e altri familiari o anche da estranei rappresenti una componente importante della propria identità culturale.
Pensare al passato alla luce del presente, infatti, stimola confronti fra situazioni, abitudini, stile di vita; ridimensiona soddisfazioni ed insoddisfazioni, consente di scoprire i limiti e le risorse della propria comunità, permette di riaprire il giudizio fra quel che è necessario (e quindi perenne) e quel che è invece superfluo o contingente.
Non si può certo sottovalutare il rischio di una deformazione mnestica o narrativa da cui questi ricordi e questo giudizio possono essere condizionati o deformati nel bene o nel male sino al limite della idealizzazione favolistica: è questo un rischio a cui sono sottoposte tutte le rappresentazioni sociali collettive che rielaborano le memorie e le tradizioni in modo qualche volta poco corrispondente all’indagine storica scientifica ma certamente aderente alle motivazioni personali.
La rielaborazione ha comunque il vantaggio di esprimere direttamente quanto è tuttora emotivamente rilevante sia perché accettabile sia perché inaccettabile e quindi di dimostrare la continuità o discontinuità di identificazione con il proprio ambiente.
Il giudizio che abbiamo richiesto agli intervistati sul passato della comunità poteva essere espresso secondo una serie di aggettivi o affermazioni:

 

Come giudica i tempi passati della Valtellina e Valchiavenna?


È evidente come il giudizio su i tempi passati sia abbastanza complesso e incerto: gli attributi favorevoli (positivi, solidali, eroici) sono complessivamente inferiori - anche se di poco - a quelli sfavorevoli (poveri, faticosi, incolti) e comunque è prevalente l’opinione che sia opportuno ricordare, ma certamente inopportuno imitare, quel tipo di passato.

c) Giudizio sulla mentalità locale

È sembrato utile verificare se i giudizi critici che erano emersi nei workshop sulla mentalità locale fossero condivisi dall’opinione di un pubblico più ampio.
Le risposte ottenute rivelano nell’ordine i seguenti giudizi:
Aspetti positivi della mentalità locale

Risposte

Percentuali

Mentalità schietta

Mentalità che ha favorito il progresso

Mentalità che favorisce la collaborazione

30,5%

15,8%

9,0%

 

Aspetti negativi della mentalità locale

Risposte

Percentuali

Mentalità chiusa e poco comunicativa

Mentalità troppo particolaristica

Mentalità che non favorisce il progresso

58,0%

23,5%

9,6%

 

Le frequenze delle risposte ottenute indicano che anche in questo caso il giudizio è complesso e non privo di incertezze.
Consideriamo le risposte più votate: oltre il 50% degli intervistati ha votato l’attributo negativo “chiusa e poco comunicativa“. Una frequenza così alta di giudizi negativi relativi ad una tematica non facile è abbastanza rara; il che suscita il sospetto che questi giudizi siano, almeno in parte, la ripetizione di un’opinione stereotipa.
Gli studi sugli stereotipi sociali sono numerosi: le prime ricerche risalgono al 1922 quando venne pubblicato un volume destinato a rapido successo intitolato “Public opinion”, scritto da uno studioso americano, Walter Lippman.
Secondo la sua interpretazione gli stereotipi sono delle immagini mentali che interferiscono fra la realtà obiettiva e la nostra percezione inducendoci a semplificare e generalizzare le nostre valutazioni; avviene così che uniformiamo i nostri giudizi anche quando sarebbe più opportuno tener conto delle differenze, oppure che li impoveriamo riducendoli ad affermazioni semplici e generiche.
Gli stereotipi hanno sempre una tonalità affettiva - favorevole o sfavorevole - che può servire come base dei pregiudizi, che può essere rivolta all’esterno o all’esterno, che può servire a criticare gli estranei ma anche a rinforzare la coesione interna di un gruppo.
Nel nostro caso specifico viene da chiedersi se il giudizio sulla “mentalità chiusa“ dei valtellinesi sia largamente aderente ad uno stereotipo che pare del tutto negativo ma forse è più complesso e sottile: un giudizio che può essere interpretato non solo come riconoscimento di un limite ma anche come rivendicazione di uno stile di comportamento e di comunicazione essenziale, poco incline alla negoziazione ed al compromesso: uno stile nel quale alla “chiusura”, sempre seguendo i giudizi degli intervistati, fa buona compagnia la “schiettezza”.
Le critiche espresse su questo problema variano secondo l’età ed il genere: più critici i giovani e soprattutto le donne: il 60% delle intervistate considera chiusa e poco comunicativa la gente valtellinese e valchiavennasca, contro il 55% degli uomini.
Sono sempre le donne a indicare più spesso la mentalità locale troppo particolaristica (il
30% contro il 19%degli uomini). Fra questi ultimi sono gli adulti e gli anziani i più critici verso il particolarismo, mentre i giovani sembrano meno attenti al problema.

 

Queste differenze probabilmente derivano da un maggior interesse femminile per gli aspetti relazionali, della cura e assistenza della famiglia e dei soggetti più fragili, e da un atteggiamento maschile maggiormente pragmatico e attento agli aspetti “pubblici” e “sociali” del vivere il territorio.
Le donne in particolare sottolineano il riserbo, la riservatezza e una certa ritrosia, come caratteristiche dei valtellinesi e valchiavennaschi. Ne deriverebbe una certa carenza relazionale interpersonale, che frenerebbe anche la “schiettezza”(3).
Il bisogno di maggiore confronto, di collaborazione e apertura sia a livello privato, tra le generazioni, che pubblico, attraverso una maggiore partecipazione alla vita sociale e istituzionale, a fronte di una tendenza sempre maggiore all’individualismo, e all’interesse immediato, viene espresso da molti intervistati (non solo donne) nelle osservazioni libere.
In qualche caso tali osservazioni hanno accennato anche alle difficoltà di comunicazione fra semplici cittadini ed amministratori pubblici: la chiusura comunicazionale, in sostanza, non riguarderebbe solo i rapporti privati (inter o intra-generazionali) ma anche quelli istituzionali.

d) Partecipazione alla vita sociale e associativa

Le difficoltà di comunicazione prima ricordate potrebbero tradursi in una scarsa partecipazione sociale ed in un disinteresse per le condotte associative; d’altra parte però, la tendenza localistica potrebbe invece agire in senso contrario stimolando una coesione sociale attiva.
Per questo abbiamo ritenuto interessante sondare l’atteggiamento degli intervistati su questi problemi.

Alla domanda ”Partecipa a gruppi organizzati?”, le risposte sono state le seguenti:

Sì 59%

No e Mancate risposte 41%

(3) Sembra interessante riportare qualche considerazione che abbiamo fatto in chiusura della precedente ricerca sui giovani che abbiamo già citato.

“… sono state soprattutto le ragazze a lamentare le difficoltà relazionali sostenendo che una caratteristica valtellinese e valchiavennasca è quella del riserbo e della scarsa comunicatività. Il fenomeno sarebbe più evidente nei piccoli centri ove la forza delle abitudini tradizionale è più pregnante …”

 

Le risposte alla domanda “A che tipo di gruppi organizzati o associazioni partecipa?”, sono indicate nel grafico seguente:


Le risposte appaiono abbastanza interessanti per quanto attiene al dato quantitativo che dimostrerebbe una partecipazione certamente elevata.
Sono i centri minori quelli che maggiormente contribuiscono a elevare la quota delle persone che, a vario titolo, aderiscono a gruppi o associazioni.
Altrettanto interessante è il dato qualitativo che dimostra come sia i gruppi culturali che quelli di volontariato coinvolgano un terzo degli intervistati; anche se l’espressione “partecipare“ può corrispondere ad una gamma ampia di significati (e quindi di intensità di partecipazione attiva) è indubbia la presenza di una tendenza a condividere interessi e azioni e quindi di una buona coesione sociale.
Il problema, come già anticipato nelle discussioni dei workshop, è quello della estensione territoriale di tale coesione che qualche volta appare tanto forte all’interno della singola comunità locale quanto incerta all’interno della più ampia comunità provinciale o addirittura all’interno delle singole zone.
È stato ricordato che la persistenza di differenze anche notevoli nei vari dialetti locali rappresenta una conferma non banale della forza del localismo che si ritrova anche a livello di abitudini, usi, celebrazioni, rituali collettivi.
La partecipazione quindi esiste ma non sempre o non immediatamente, rappresenta una potenziale sinergia di intenti comuni alla intera comunità.

 

e) Atteggiamento verso le culture diverse

Un riferimento al tema dell’immigrazione non poteva mancare nelle domande del questionario.
Sebbene la provincia di Sondrio sembri tuttora occupare l’ultimo posto nella graduatoria dell’immigrazione straniera in Lombardia, la presenza degli stranieri, sia regolari che irregolari, è in crescita, con prevalenza di persone provenienti dall’est Europa e un progressivo aumento di Nordafricani.
Il fenomeno migratorio, è certamente complesso, se pensiamo alla molteplicità di aspetti che lo caratterizzano, quali per esempio la numerosità degli immigrati, l’origine e la provenienza etnica, le modalità di integrazione nella rete sociale locale, a livello educativo e lavorativo, così come gli effetti sulla cultura in cui si inseriscono e ai vari livelli della società, economici, politici, strutturali.
L’innesto di usi, costumi, abitudini di comportamento e di culto diversi da quelli locali possono essere certamente stimolo al confronto e ad eventuali cambiamenti, ma possono d’altro canto far emergere problemi e difficoltà reali o infondate nel processo di integrazione.
Il rischio dell’emergere di atteggiamenti stereotipi di rifiuto o elementi di etno-centrismo, o al contrario la tendenza ad accettare e a confrontarsi con la diversità, sono aspetti strettamente legati al tema dell’identità culturale.
Abbiamo voluto quindi sondare l’opinione sul problema ponendolo in forma alternativa. Al fine di rendere più chiara la domanda su tale argomento e meno complessa la risposta, abbiamo ritenuto opportuno formulare la domanda sotto forma di scelta fra due proposizioni opposte:
A. l’innesto di una diversa mentalità culturale, per esempio portata dagli immigrati extracomunitari, potrebbe rappresentare un arricchimento sociale
B. l’innesto di una diversa mentalità culturale, per esempio portata dagli immigrati extracomunitari, potrebbe rappresentare una convivenza problematica
Le risposte sono riportate nella tabella seguente:
L’innesto di una diversa mentalità culturale, per esempio portata dagli immigrati extracomunitari, potrebbe rappresentare

Risposte

Percentuali

Un arricchimento sociale

Una convivenza problematica

Un arricchimento sociale e anche una convivenza problematica

52,5%

35,8%

11,7%

 

Non sono emerse differenze significative tra maschi e femmine, mentre è rilevabile, come prevedibile, un lieve aumento dei voti alla proposizione B in parallelo all’aumento dell’età degli intervistati.
Il dato non stupisce perchè tutte le indagini anche recenti dimostrano che le tendenze etnocentriche aumentano con l’età; cresce il timore dell’immigrazione come “novità” che minaccia, in vario modo ed almeno potenzialmente, abitudini, modalità relazionali, equilibri consolidati di ruoli.
Una differenza degna di nota riguarda le zone di residenza degli intervistati.
I residenti in Valchiavenna sono apparsi più propensi a percepire il fenomeno migratorio come una opportunità di arricchimento sociale, mentre i residenti in Alta Valle sono apparsi i più resistenti; questo divario potrebbe indicare un maggiore radicamento culturale da parte di chi vive in zone montane, un più forte legame alle tradizioni locali e alle abitudini culturali e sociali, e conseguentemente una certa chiusura e timore nei confronti della diversità e di ciò che potrebbe portare cambiamenti, mutamenti e trasformazioni nel proprio modo di vivere.

4.3. Terza area: problemi psico-socio-culturali

a) Interessi ed occupazione del tempo libero

Le risposte ottenute alla domanda “Ha particolare interesse per ...”, sono riportate nel grafico seguente:


Per quanto riguarda la distribuzione degli interessi nei diversi gruppi di intervistati, le risposte indicano qualche differenza notevole:

i più giovani (18/32 anni) rivelano un prevedibile grande interesse a viaggiare per conoscere il mondo, ma i meno giovani, divisi per gruppi di età (33/50 anni, 51/65, 66 e oltre) rivelano anch’essi un interesse in proposito poco minore;

i più giovani sono mediamente interessati alle novità tecniche e scientifiche ma poco a quelle informatiche che invece interessano di più le persone di mezza età probabilmente perché queste usano le reti a scopo professionale;

oltre i 50 anni l’interesse informatico cala, insieme a quello tecnico, mentre aumenta quello letterario;

le donne hanno più interesse degli uomini per la conoscenza del mondo, modesto interesse scientifico, scarso interesse tecnico ed informatico, maggiore interesse letterario.

Nel complesso, quindi, risultati prevedibili e poco caratterizzanti la popolazione valtellinese e valchiavennasca rispetto a quanto avviene in ambito nazionale.
Lo stesso giudizio può essere espresso per quanto riguarda le risposte che sono relative alle modalità di occupare il tempo libero: da soli o in compagnia di familiari ed amici.
Alle tre domande:
1. “Come occupa abitualmente il tempo libero da solo?”
2. “Come occupa il tempo libero insieme ai suoi familiari?”
3. “Come occupa il tempo libero insieme agli amici?“
Le risposte sono state quelle, prevedibili, di persone che abitano in zona alpina: oltre alla solita preponderante TV, infatti, sono stati citati con ampia frequenza lo sport e le passeggiate in montagna.

b) Fruizione dei canali di informazione

Il rapporto con i canali di informazione è stato indagato con domande specifiche che riguardavano la stampa, la radio, la televisione ed inoltre il carattere locale, nazionale, internazionale delle fonti scelte.
Secondo le risposte ottenute l’informazione di carattere nazionale è quella prevalente sia per quanto riguarda la lettura di giornali quotidiani e di riviste periodiche, sia per quanto riguarda l’ascolto radiofonico che la visione della televisione.
I dati emersi sono sintetizzati nella tabella seguente:
Fruizione dei mezzi di comunicazione nazionali

Risposte

Percentuale

Giornali e riviste nazionali

Radio nazionali

TV nazionali

81,8%

78,0%

86,7%

 

Per quanto riguarda l’informazione locale le risposte ottenute sono indicate nella tabella seguente:
Fruizione dei mezzi di comunicazione locali

Risposte

Percentuale

Giornali e riviste locali

Radio locali

TV locali

71,0%

45,0%

51,0%

 

Limitata sembrerebbe invece la fruizione di media internazionali: radio e stampa non interessano rispettivamente più del 3% e del 6%, mentre le televisioni straniere riescono ad interessare il 15% degli intervistati.
Sembrerebbe quindi che l’interesse per i problemi della provincia e per la cronaca locale sia abbastanza consistente anche se non riesce a superare quello per i problemi più generali trattati dai media nazionali. Nel complesso quindi esiste in provincia una buona informazione generale e locale e quindi un aggiornamento adeguato alla realtà così come è abitualmente presentata dai mass-media.
Il pubblico dei fruitori dell’informazione, generale e locale, sembra essere costituito soprattutto dalle donne che predominano nettamente nella lettura, ascolto, visione dei diversi media, con l’eccezione dell’ascolto delle radio internazionali che sembrerebbe praticato soprattutto dagli uomini.

c) Utilizzo di reti informatiche

Oltre alla fruizione dei canali di informazione precedenti, stampa, radio e televisione,
è stato indagato anche il rapporto degli intervistati con gli strumenti multimediali e in particolare con internet.
Secondo i dati emersi, la frequenza di utilizzo di internet è rilevante, tanto che più della metà degli intervistati (62,6%) ne fa uso abitualmente.
È stato inoltre rilevato che sono le persone tra i 33 e i 50 anni i più assidui utenti, mentre tra gli ultra-sessantacinquenni l’impiego è meno regolare e frequente. Inoltre sono i maschi (66%) che usufruiscono maggiormente della rete rispetto alle donne (60%).
Tra i motivi di utilizzo della rete è prevalente la motivazione professionale (39,3%), seguita dall’interesse ad informarsi (36%) e dal desiderio ludico-evasivo (25%). Quest’ultima motivazione (“per svago”) è prevalente tra i più giovani, mentre chi utilizza internet come supporto o strumento di lavoro sono sia i giovani che gli adulti e l’uso della rete informatica a scopo informativo pare presente in tutti i gruppi di età.

 

4.4. Quarta area: previsioni di sviluppo della comunità

a) Problemi sociali

La domanda relativa alla percezione dei problemi sociali attuali della comunità offriva agli intervistati la scelta fra diversi temi; alcuni di questi corrispondevano a problematiche sociali diffuse nella attuale società (e quindi anche in provincia di Sondrio) ma non specifiche della comunità provinciale; altri invece erano più problemi presuntivamente più particolari e quindi più vivi nella percezione dei residenti.
La scelta dei temi - generali e specifici - da proporre agli intervistati nasce dalle osservazioni raccolte durante la fase qualitativa dell’indagine.
La valutazione ottenuta dei diversi problemi sociali è indicata nella tabella seguente:
Problemi sociali

Risposte

Percentuale

Inserimento lavorativo dei giovani

Dispersione delle risorse giovanili al di fuori della provincia

Problemi della salute e della assistenza sanitaria

Perdita dei valori tradizionali

Crisi della famiglia - separazione e divorzio

Assistenza agli anziani

Diminuzione delle nascite

71,6%

37,8%

35,6%

36,0%

26,6%

25,5%

11,0%

 

I risultati riportati evidenziano una preoccupazione relativamente contenuta per i problemi di carattere generale (salute, famiglia, anziani, natalità) e una preoccupazione altrettanto limitata per la crisi dei valori tradizionali.
Rilevante appare invece la percezione della condizione giovanile come maggiormente problematica, sia per quel che riguarda l’inserimento lavorativo, sia come problema individuale, che come problema specifico della comunità e cioè come rischio di dispersione delle risorse giovanili al di fuori della provincia per mancanza di adeguate offerte locali.
Considerando il campione suddiviso per genere si può notare come le donne si rivelino particolarmente preoccupate (74% contro 68%) proprio per il problema dell’inserimento lavorativo dei giovani, mentre la valutazione del problema della dispersione delle risorse giovanili al di fuori della provincia è condivisa quasi in parità tra i due sessi (39% tra le donne e 37% tra i maschi).
Quest’ultimo aspetto, come prevedibile, è vissuto come maggiormente problematico da chi ha meno di 33 anni (44,5%) rispetto a coloro che appartengono alle fasce d’età successive (frequenze comprese tra il 39% e il 22%).

 

La sensibilità degli intervistati al problema è confermata dalle osservazioni libere che spesso denunciano la carenza di sbocchi professionali e di opportunità adeguate al tipo di formazione acquisita dai giovani ed alle esigenze più generali della comunità.
Tuttavia le stesse osservazioni rivelano anche l’esistenza di un atteggiamento ambivalente da parte degli adulti intervistati relativamente all’allontanamento dei giovani fuori provincia per motivi di studio e formativi: da un lato è riconosciuta come una tappa importante e qualificante, dall’altro è avvertito il rischio di una possibile perdita di risorse locali.
L’ambivalenza è comprensibile. È ritenuto normale che un giovane voglia uscire dal guscio protettivo della famiglia e della comunità e voglia conoscere il mondo; è quel che tutti vorrebbero fare per vedere, scoprire, confrontare, sentirsi più liberi.
E ‘altrettanto normale che il mondo esterno appaia affascinante e che molti giovani provino la tentazione di non ritornare a casa; è questo il momento del dubbio che sarà risolto molte volte dalla valutazione di quanto la comunità originaria sia in grado di offrire in termini di quantità e qualità.
Se la comunità è arretrata, se offre soluzioni povere o poco interessanti, avviene una sorta di selezione negativa, per cui “i migliori” rimarranno lontani e più raramente o più avanti negli anni faranno ritorno al paese d’origine.

b) Attività favorenti lo sviluppo

Le ultime tre domande del questionario hanno aperto la riflessione alle possibilità di sviluppo della comunità valtellinese e valchiavennasca, indagando le iniziative che potrebbero contribuirne la crescita e chiedendo chi se ne dovrebbe assumere la responsabilità e come dovrebbe essere il corretto approccio a tali iniziative di sviluppo.
La prima di tali domande riguardava le attività che potrebbero contribuire allo sviluppo della comunità, ed è stata formulata inserendo alcune possibili proposte di sviluppo.
Le scelte realizzate dagli intervistati sono riportate nella tabella seguente:
Attività che potrebbero contribuire allo sviluppo della comunità

Risposte

Percentuale

Nuove iniziative turistiche

Migliore comunicazione di quello che già si fa

Istruzione superiore Istruzione professionale Nuove iniziative agricole Nuove iniziative industriali

Nuove iniziative commerciali

48,7%

34,0%

23,4%

22,3%

19,6%

15,0%

14,0%

 

Risulta quindi che quasi la metà degli intervistati (48,7%) indica nuove iniziative turistiche come il contributo più significativo per lo sviluppo della comunità.
Ricordiamo che anche nel corso dei workshop della fase precedente di indagine il turismo è stato individuato come filo rosso dello sviluppo e come possibile fattore trainante delle altre attività economiche.
Le risposte alla domanda precedente e le osservazioni spontanee degli intervistati confermano queste opinioni.
Il settore turistico, se ben riqualificato e sostenuto, potrebbe condurre l’intera provincia verso uno sviluppo e una crescita significativa, coinvolgendo tutti gli altri segmenti economici e produttivi della valle. Attività turistica quindi come volano dell’economia che favorirebbe la rinascita e il potenziamento dei settori agricoli e dell’allevamento, attraverso la valorizzazione dei prodotti locali, del comparto alimentare, la difesa dei piatti tipici e della tradizione culinaria delle diverse zone della Valtellina e Valchiavenna, dell’artigianato, del commercio e delle imprese grazie ai marchi di qualità indispensabili per stare al passo con le richieste del mercato nazionale e globale.
Il tutto garantito dal ruolo forte di accompagnamento e sostegno giocato dal settore pubblico.
Questa possibilità è vincolata alla valorizzazione di una mentalità del bene comune, di risorse ambientali, economiche, territoriali peculiari per ciascuna zona ma che accomunano e che possono dare ricchezze se condivise e messe in circolo tra tutti coloro che abitano la provincia.
Il secondo dato interessante riguarda il problema della comunicazione.
Poco più di un terzo del campione (34%) infatti manifesta l’esigenza di una migliore comunicazione di quel che già si sta facendo come opportunità di crescita.
Viene sottolineato del tutto coerentemente con quanto esposto dalle persone intervistate nella fase qualitativa di indagine l’importanza di impostare una comunicazione corretta e completa su quanto avviene in provincia di Sondrio: i contributi di lavoro e di idee, i progetti, le iniziative, l’operosità in atto.
Tali osservazioni consentono di affermare come l’esigenza di nuove o migliori modalità di marketing e di promozione della zona siano considerate indispensabili per dare energia e impulso al presente e al futuro locale.
Le altre risposte confermano, anche per quel che concerne lo sviluppo comunitario, un’attenzione particolare da parte degli adulti nei confronti dei giovani, come fonte di sviluppo e risorsa importante, e un atteggiamento favorevole agli investimenti relativi all’istruzione superiore e professionale.

c) Attività ostacolanti lo sviluppo

Una domanda successiva ha proposto una serie di possibili ostacoli allo sviluppo della comunità locale, alcuni riferiti specificamente al territorio valtellinese e valchiavennasco, altri attuali e diffusi nelle società odierna.

 

In sostanza la domanda riproponeva alcuni temi nuovi ed altri i temi già proposti in precedenza come “problemi sociali”, presentandoli questa volta come motivi di freno allo sviluppo comunitario.
Le risposte ottenute sono state indicate nella tabella seguente:
Ostacoli allo sviluppo della comunità locale

Risposte

Percentuale

Difficoltà di trasporto e viabilità Disoccupazione

Mancanza di progettualità Mancato rispetto dell’ambiente Limitatezza culturale

Alcolismo

Emigrazione al di fuori della provincia di valide risorse umane

Abbandono dei valori tradizionali

Disimpegno

Droga

Rifiuto della fatica

Criminalità Violenza

69,0%

29,0%

27,5%

23,7%

22,5%

22,0%

20,5%

14,6%

14,4%

12,0%

11,3%

3,0%

2,9%

 

Appare evidente come gli intervistati abbiano ben compreso il senso della domanda evitato di concentrare la loro attenzione sui problemi - pur gravi e preoccupanti - di carattere generale della società e riflettendo sopratutto sui problemi locali.
Interessanti - anche a proposito di questi temi - i commenti espressi nelle osservazioni libere: la necessità di creare nuovi posti di lavoro per i giovani e di investire nella formazione e preparazione degli stessi, è frequentemente segnalata così come l’isolamento logistico e le difficoltà nel trasporto e viabilità.
È interessante evidenziare la differenza tra gli intervistati nei due generi: sono le donne che avvertono maggiormente come elemento di ostacolo allo sviluppo della comunità locale i seguenti aspetti:

57

Ostacoli allo sviluppo della comunità locale per genere

Risposte

Percentuale

Risposte

Maschi

Femmine

Disoccupazione

24,9%

32,2%

Mancanza di progettualità

26,5%

28,3%

Dispersione di risorse umane fuori dalla provincia

16,6%

23,4%

 

Un’altra differenza che abbiamo riscontrato è connessa alla fascia d’età di appartenenza: sono i più giovani a indicare meno frequentemente come ostacolo la difficoltà logistica e la viabilità, mentre appaiono più sensibili agli ostacoli rappresentati dalla disoccupazione, la limitatezza culturale, la dispersione fuori provincia di risorse e l’abuso di alcool.
Il problema dell’alcolismo è variamente giudicato: da un lato il consumo di bevande alcoliche viene riconosciuto come parte di una tradizione culturale, come una consuetudine considerata socialmente accettabile e tollerabile, dall’altro tale abitudine suscita timori sopratutto se riferita al consumo giovanile perchè intesa come pre-requisito di altre possibili e ben più gravi devianze: la violenza, la guida spericolata.
La preoccupazione per l’allontanamento fuori provincia dei giovani, così come il bisogno di interventi mirati relativamente ai percorsi formativi per gli studenti e giovani lavoratori, possono essere considerati come l’espressione dell’esigenza di programmare interventi volti soprattutto a trattenere i giovani dall’allontanarsi dalla provincia per realizzare le loro potenzialità in ambienti più idonei ed attrezzati.
La sinergia di iniziative, a vari livelli, da quelle del singolo cittadino fino al coinvolgimento di aziende, amministratori e politici, sembrerebbe un approccio auspicato dalla maggior parte degli intervistati.
L’atteggiamento finalizzato alla promozione di forme di coordinamento degli interventi in termini sia di prevenzione sia di promozione e sviluppo è quello che sembrerebbe più diffuso tra gli intervistati.

d) Tipo di approccio necessario alle iniziative di sviluppo

Una ulteriore domanda a risposta multipla inserita nel questionario relativa agli aspetti di sviluppo, ha considerato le eventuali modificazioni nell’approccio alle iniziative comunitarie, chiedendo di indicare tra gli aspetti proposti quelli maggiormente efficaci. La tabella seguente indica nell’ordine le diverse possibilità:

 

Interventi necessari per migliorare la situazione

Risposte

Percentuale

Maggiori iniziative in collaborazione

Maggiore professionalità

Maggiore partecipazione attiva dei giovani

Maggiore senso civico

Maggiore coraggio di affrontare l’incertezza

Maggiore iniziativa del singolo

Maggiore partecipazione attiva delle donne

46,3%

44,0%

38,3%

29,0%

16,4%

13,0%

10,0%

 

I risultati ottenuti a questa domanda confermano la constatazione della difficoltà, per valtellinesi e valchiavennaschi, a collaborare e a partecipare insieme attraverso strategie e attività comuni.
Gli aspetti riferiti più frequentemente relativamente all’atteggiamento verso le iniziative di sviluppo sono stati infatti la necessità di maggiore collaborazione e sinergia, e maggiore professionalità e partecipazione attiva dei giovani.
Il bisogno di collaborazione e apertura, a livello privato e pubblico e tra le generazioni, attraverso una partecipazione attiva alla vita sociale dei giovani viene espresso da molti intervistati, e rappresenta probabilmente il modo che gli adulti si immaginano per stimolare lo sviluppo e ottenere cambiamenti e innovazione.
Le spinte di rinnovamento e innovazione della comunità provinciale sembrano dover passare, secondo il campione intervistato, attraverso il fare insieme e attraverso il contributo dei giovani, forti di un maggior livello di istruzione e formativo, e di competenze professionali e tecnologiche adeguate ai tempi moderni.
Interessante le differenze tra maschi e femmine: sono queste ultime che manifestano con maggiore intensità l’esigenza di maggiori iniziative in collaborazione come fattore di promozione del progresso (48,5% delle donne contro il 43,2% degli uomini), pur valorizzando e attribuendo importanza all’iniziativa del singolo più degli uomini (14,6% contro il 10,8%).

e) Identificazione dei possibili attori dello sviluppo

Per quanto riguarda l’assunzione della responsabilità delle iniziative di sviluppo, il grafico indica le frequenze delle risposte ottenute:

 

Enti o persone ritenuti responsabili del miglioramento


Ricordiamo come queste diverse posizioni fossero emerse con chiarezza sia nelle interviste che nei workshop. Predominante anche in quella sede l’opinione della necessità di un impegno comune sia pure secondo diversi livelli di competenza e responsabilità.
Altrettanto rilevante era stata anche l’opinione relativa alla necessità dell’impegno continuativo e visibile della classe politica locale e nazionale.
Sembra quindi diffuso ai vari livelli il desiderio di un impegno comune a contribuire alla crescita e al progresso della realtà locale, dopo avere preliminarmente superato i particolarismi e gli individualismi, favorendo l’emergere degli aspetti di similarità e omogeneità dell’appartenenza, anziché accentuarne differenze e contrasti.

 

V - CONCLUSIONI

La organizzazione e realizzazione della ricerca ha comportato notevole impegno di tempo e di modalità relazionali ma è stata fortemente agevolata dalla buona collaborazione che ci stata offerta dagli intervistati; ci sembra interessante ribadire questa osservazione perché riteniamo che la collaborazione che abbiamo ottenuto rappresenti un risultato valido non tanto sul piano formale quanto su quello del contenuto. Essa dimostra infatti che il tema “identità“ non è stato inteso come l’oggetto di una ricerca “colta” di carattere scientifico ma come un argomento che può interessare tutti (e non solo gli studiosi) nella sua duplice valenza simbolica e pratica e nella sua perdurante attualità.
La realizzazione dell’indagine in due successive fasi (intensiva-qualitativa ed estensiva- quantitativa) corrisponde alla metodologia usuale di ogni ricerca psico-sociale ma ha anche lo specifico intento di confrontare opinioni “colte” ed opinioni comuni sul tema dell’identità culturale valtellinese.
La prima fase - qualitativa - è stata realizzata su un campione più limitato di soggetti scelti fra i probabili “testimoni privilegiati” del tema: studiosi, insegnanti, educatori, imprenditori, dirigenti aziendali, operatori sociali ecc., e cioè soggetti che - grazie al ruolo che svolgono o allo status che occupano - sono presumibilmente più informati e più sensibili ai problemi culturali nei loro aspetti comuni e nelle loro diverse declinazioni.
La seconda fase ha riguardato un campione consistente di persone dei due sessi, di diversa età, professione, livello di istruzione e residenti nelle cinque zone del territorio provinciale: Chiavenna, Morbegno, Sondrio, Tirano, Bormio, sia nei centri maggiori che in quelli minori.
Le due fasi della ricerca si sono bene integrate fra loro.
Le “testimonianze privilegiate“ della prima fase hanno offerto una visione panoramica della cultura valtellinese nei suoi aspetti teorici e nelle sue modalità pratiche di manifestazione: tutela del paesaggio, lavoro, istruzione, assistenza, solidarietà. Hanno inoltre proposto varie opinioni sulla “identità valtellinese” ragionando in termini di usanze e tradizioni, di storia remota e recente, descrivendo pregi e difetti della mentalità valtellinese, caratteristiche positive ed esasperazioni del localismo.
Ne sono derivati molti suggerimenti utili per meglio definire gli obiettivi della ricerca estensiva.
È risultato molto utile, ad esempio, articolare tali obiettivi distribuendoli nelle tre dimensioni temporali del passato, presente e futuro così da comprendere meglio il peso relativo, nei problemi identitari, della tradizione storica e culturale, della realtà attuale, della prospettiva progettuale.

Così reciprocamente i risultati della fase estensiva hanno consentito di meglio comprendere e di valutare quantitativamente la rilevanza delle “testimonianze privilegiate” a livello di opinione comune.
Ad esempio è apparso evidente come a questo livello siano più manifeste le preoccupazioni per i problemi concreti ed immediati: la viabilità, i trasporti, la disoccupazione giovanile, il turismo, e meno quelle relative al problema di conservare e potenziare l’identità culturale.
I risultati nel loro complesso compongono un quadro policromo e vivace ricco di informazioni e suggestivo, sia per quel che dice chiaramente, sia per quel che solo accenna ed anche per quel che tace.
Questa combinazione di esplicito e di implicito, di risposte dirette ed indirette implica una lettura dei dati che non si limiti alla registrazione statistica delle risposte ma compia una analisi di tipo interpretativo così come, del resto, è abituale nella metodologia della ricerca psico-sociale.
Un tema come quello dell’identità richiede in modo particolare una analisi di questo tipo (con tutti i rischi e le necessarie cautele che ne conseguono) proprio per le sue caratteristiche.
Riflettere sulla propria identità non può mancare di suscitare opinioni ed atteggiamenti differenti fra le diverse persone ed anche incertezze e contraddizioni nella stessa persona; ciò perché - come già abbiamo considerato - l’identità è un costrutto complesso, individuale e sociale che si svolge nel tempo e nello spazio, che è in continuo rifacimento in rapporto al subentrare di nuove informazioni e nuove esperienze individuali e collettive.
Probabilmente può essere utile, per comprendere meglio la varietà e complessità dei risultati, utilizzare il modello proposto da uno studioso dello sviluppo della personalità: Brofenbrenner(4).
Brofenbrenner dice che la persona umana è posta al centro di più “ecosistemi” concentrici: un micro-sistema di relazioni intime o vicine, un meso-sistema di relazioni ancora prossime ma più articolate e più specializzate, ed infine un macro-sistema culturale.
Ogni sistema ha una sua autonoma funzionalità e un suo valore pratico e simbolico ma è anche permeabile agli stimoli che provengono dagli altri sistemi; per questo accade che, volta a volta, l‘identità sia:
a) arroccata nella privacy e cioè limitata al cerchio più ristretto del micro-sistema (familiare o amicale);
b) estesa all’influsso del meso-sistema (educativo, lavorativo, residenziale, ecc.) di cui si fa esperienza diretta e quotidiana;

(4) cfr,Bronfenbrenner U. „The ecology of human development„ Cambridge,Univ.Press,1979.

 

c) permeata di valori culturali più generali del macro-sistema che condizionano gli usi, i costumi, la mentalità, gli ideali ecc.
L’identità, in altre parole, varia secondo un continuum dalla dimensione personale a quella sociale nelle sue diverse e sempre più ampie manifestazioni: gruppo, istituzioni, comunità locale, collettività etnica o politica ecc. Non sempre le persone sono bene consapevoli della molteplicità di tali livelli e della eventuale prevalenza di uno di essi; con tutte le conseguenze cognitive e motivazionali che ne conseguono.
Nel momento attuale ai tre eco-sistemi (micro, meso, macro) si è però aggiunto un super-sistema ancora più vasto che si definisce “globalizzazione“: una sorta di ipersistema potente e suggestivo che travalica le diverse culture, minaccia la loro specifica identità, propone valori strumentali ed essenziali comuni che spesso sono in conflitto, almeno potenziale, con quelli locali.
Il tema della “globalizzazione“ non è stato esplicitamente proposto alla discussione o valutazione dei soggetti intervistati; eppure è sempre stato presente, esplicitamente o implicitamente, ed ha suscitato molte reazioni.
Le reazioni sono state spesso solo accennate a commento o integrazione di altre tematiche (trasporti, consumi, mobilità sociale, ecc.) ma sono indicative di atteggiamenti molto diversificati anche se tuttora incerti o mutevoli.
Per alcuni intervistati la globalizzazione rappresenta una sorta di destino incontrastabile, un modello che si imporrà anche a Sondrio nelle abitudini, nei consumi, nelle relazioni sociali e lavorative; un modello vincente che certamente indurrà - come ovunque - dei cambiamenti, ma che servirà anche a sprovincializzare certe abitudini locali.
In questa prospettiva opporsi alla globalizzazione è quindi inutile; è invece necessario cercare di utilizzarla per quanto può servire: innovazioni tecniche, semplificazioni pragmatiche e comode; tutto ciò secondo una logica di tipo prevalentemente passivo-imitativa e particolaristico-individuale.
Per altri, invece, la globalizzazione si propone come una sorta di tigre da cavalcare, come un modello da imitare attivamente; in questo caso l’identificazione (che sostiene l’identità) sembra spostarsi dal gruppo di appartenenza - vicino e consueto - ad un gruppo di riferimento estraneo ma suggestivo.
Entrambe le posizioni appaiono poco preoccupate del valore strategico dell’identità, il che non significa negarla ma ridurla ad un bene puramente ideale, più legato al passato che al presente e probabilmente poco utile per il futuro.
Per altri ancora la globalizzazione è da considerarsi criticamente nei suoi pregi e soprattutto nei suoi difetti che localmente possono significare (e già significano) degrado del paesaggio e sfruttamento selvaggio dello spazio, livellamento dell’offerta, svalutazione dei prodotti locali ecc.
Proprio da questa considerazione critica potrebbe nascere la programmazione di una alternativa di sviluppo fondata sui valori e sulle risorse locali e soprattutto sulla loro sinergia: una alternativa per la quale “identità” non è un retaggio del passato, ma un insieme di interessi comuni da difendere e potenziare.
Questa opinione sembrerebbe presente e condivisa.
È abbastanza interessante che nell’indicare le iniziative utili a favorire lo sviluppo gli intervistati abbiano posto ai primi due posti la “professionalità” e la “collaborazione“, cioè proprio quei due fattori di “conoscenza” e di “coesione sociale “ che meglio possono assicurare una progettazione ordinata comune.
Il riconoscimento della necessità di un impegno “di tutti” è stato ripetuto più volte sia nei workshop che nei questionari, così come sono state ripetute le affermazioni relative ai problemi dei giovani: la loro occupazione in provincia per evitare vuoi la disoccupazione vuoi l’emigrazione; ma anche la considerazione che i giovani dovrebbero partecipare più attivamente ai problemi dello sviluppo.
In sintesi la ricerca ha rivelato che non è per nulla assente nei valtellinesi la consapevolezza che è possibile uno sviluppo fondato sulla coesione sociale, sulla partecipazione, sulla collaborazione solidale fra pubblici e privati, politici, imprenditori, semplici cittadini. Questa consapevolezza si esprime, naturalmente secondo gradi diversi e si traduce in diversi livelli di motivazione ad agire: per alcuni l‘agire è “urgente”, per altri ”necessario“, per altri ancora “augurabile“ e così via, secondo una gamma di intensità che sembrerebbe inversamente proporzionale alla stima soggettiva di benessere: un benessere non ostentato ma certamente presente e rassicurante.
Nell’insieme, come abbiamo visto, il rapporto dei valtellinesi con il loro ambiente di vita
è buono e rassicurante(5), probabilmente tanto più rassicurante se paragonato con la storia non solo remota ma anche recente (ancora oggetto delle narrazioni familiari) di fatica, privazioni, emigrazione forzata.
Si tratta di un rilievo ricorrente in molte delle ricerche recenti, italiane e straniere: molte indagini hanno dimostrato che, salvo eccezioni, la sensazione soggettiva di benessere che pervade un gruppo sociale o una comunità, anche se non corrisponde esattamente a quello obiettivo, ed anche se non è ben garantito per il futuro, svolge una funzione di tipo omeostatico.
Omeostasi significa conservazione della situazione presente, limitazione della visione prospettica di medio e lungo termine, rifiuto delle novità in quanto apportatrici di possibili rischi: in una parola blocco della volontà di progettazione e cambiamento. L’omeostasi è comprensibile per la sua funzione di rassicurazione ma rappresenta un rischio duplice; limita la prospettiva del futuro e impoverisce gradualmente il livello di aspirazione.

(5) Mi sembra opportuno ricordare che alla domanda specifica ben l’86% degli intervistati ha dichiarato di essere soddisfatto del proprio ambiente di vita.

 

Limitare la prospettiva del futuro può significare due diverse cose: la prima consiste nel trascurare la progettazione attiva e cioè ripiegare sul presente, ”dormire sugli allori“, senza porre in atto nuove iniziative; la seconda è ancora più rischiosa perchè può significare non vedere la minaccia dei pericoli possibili.
Il cambiamento, in un mondo come l’attuale, può tradursi in conseguenze a lungo, medio e breve termine, e gli scenari locali che paiono protetti possono essere stravolti da novità di ogni genere. È quel che è capitato a aziende o comunità che parevano “corazzate inaffondabili” e si sono rivelate improvvisamente fragili.
Esiste anche in Valtellina il rischio che la sensazione di relativo benessere spinga a consolidare una interpretazione statica e difensiva dell’identità che anziché stimolare una vera coesione sociale ed un impegno comune di sviluppo induca atteggiamenti particolaristici e “miopi” rispetto al futuro; non manca come abbiamo visto la consapevolezza che l’identità possa essere ben altro e cioè una condivisione di risorse, una solidarietà di intenti, una partecipazione comunitaria attiva, in sostanza uno strumento di coesione e di sinergia.
È necessario operare per tradurre questa consapevolezza in motivazione ad agire, per unire (se è lecito l’uso di una formula tratta dal linguaggio giuridico) “ l’intendere al volere” e cioè agire per consolidare la motivazione a rimanere attori del proprio futuro.

 

VI - APPENDICE

“IDENTITÀ DELLA POPOLAZIONE VALTELLINESE”

WORKSHOP 2006
COOPERAZIONE, VOLONTARIATO, ASSOCIAZIONISMO E SOLIDARIETÀ SOCIALE Coordinatore Dott. Ivan Fassin - 7 marzo 2006
Delfo Bonenti - Psicologo, Direttore Sociale ASL
Lucia Foppoli - Avvocato, Presidente Club Alpino Italiano, Sez. Valtellinese
Girolamo Rossi - Rappresentante ACLI
Ettore Leali - Presidente Associazione Nazionale Alpini- Sezione di Sondrio
Luigi Leoncelli - Presidente AUSER-CGIL
Enrico Tarabini e Anna Maria Zuccoli - Responsabili Associazione “Tempos Novos” Maria Donati racchetti - Presidente Centro Servizi per il Volontariato - L.A.Vo.P.S. Marco Tam - Promotore Associazione “Nonsolonero”
Tonino Lozzi - Segretario ARCI
Vittorio Ciarrocchi - Presidente Cooperativa “Insieme” Afonsina Pizzatti - Presidente Associazione “Politeia” Norberto Riva - Consigliere Cooperativa “Il sentiero”
Simone Del Curto - Medici senza frontiere, Membro Agenzia per la pace

 

2. CULTURA E TRADIZIONE

Coordinatore Dott.Ivan Fassin - 27 marzo 2006

Monsignor Valerio Modenesi - Arciprete Parrocchia di Sondrio
Lorenza Fumagalli - Storica
Bruno Ciapponi Landi - Storico, Responsabile Museo Etnografico di Tirano
Piergiuseppe Forni - Insegnante Gabriele Antonioli - Storico, Scrittore Carlo Toini - Storico
Franca Prandi - Docente, Esperta in Dialettologia
Gianluigi Garbellini - Storico
Simonpietro Picceni - Direttore Convitto Nazionale ”G. Piazzi” Sondrio
Pier Carlo Della Ferrera - Esperto in Dialettologia
Ilde Bonetti Testorelli - Responsabile Museo Vallivo di Valfurva
Giulio Perotti - Insegnante
Emanuele Mambretti - Esperto in Dialettologia

 

3. PAESAGGIO E TERRITORIO
Coordinatore Dott. Arch. Stefano Tirinzoni - 12 giugno 2006


Maurizio Azzola - Geologo (geomorfologia)
Guido Bellesini - Presidente Regionale Club Alpino Italiano (sentieri ed itinerari)
Dario Benetti - Architetto (beni culturali)
Luisa Bonesio - Docente universitaria (geofilosofia) Nella Credaro Porta - Insegnante (terrazzamenti vitati) Ivan Fassin - Docente (letteratura)
Giuseppe Miotti - Guida Alpina (fruizione della montagna)
Cristina Pedrana - Insegnante (strade storiche)
Enrico Pelucchi - Insegnante (gruppo Terre Alte)
Antonio Scaramellini - Architetto (specificità Valchiavenna) Angelo Schena - Avvocato (alpinismo Club Alpino Italiano) Gianni Scherini - Biologo naturalista (questioni naturalistiche) Stefano Zazzi - Ingegnere (specificità Alta Valtellina)

 

4. LAVORO, ECONOMIA, INNOVAZIONE, SVILUPPO, TECNOLOGIA

Coordinatore Dott. Claudio Snider - 10 ottobre 2006


Paolo Bombardieri - Enologo, Casa Vinicola Negri Massimo Timini - Associazione Nazionale Allevatori Arnaldo Triaca - Imprenditore Chiavenna
Giuseppe Galimberti - Studio Architetti
Andrea Patroni - Pietro Stefanelli - Studio Architetti
Giorgio Petrelli - Referente Confindustria
Valerie Ehrenberger Schena - Responsabile Valtellina Lavoro
Rezio Donchi - Presidente, Accademia del Pizzocchero Luca Faccinelli - Responsabile relazioni esterne BIM Enrico Moratti - Presidente Ordine Ingegneri
Ivan Fassin - Docente, Rappresentante CISL Ignazio Dorsa - Rappresentante CISL Girolamo Rossi - Rappresentante CISL
Fabio Moro - Titolare Pastificio Chiavenna
Anna Fassin - Rappresentante Società di Sviluppo Locale
Quadrio Vittorio - Commercialista, Associazione Libere Professioni
Giovanni Bettini - Coordinatore Provinciale Legambiente

 

5. PROBLEMATICHE SOCIALI E FORMATIVE Coordinatore Dr.ssa Cinzia Franchetti - 19 ottobre 2006

Paolino Baroni - Settore Formazione e Mercato del Lavoro - Amministrazione Provin- ciale di Sondrio
Stefano Bertalli - Direttore Cooperativa Sol.co
Renato Ciapponi - Direttore CFP Sondrio
Elisa D’Anza - Responsabile Ufficio di Piano - Comunità Montana Tirano
Doriana Dell’Avanzo - Coordinatrice Rete di Scuole di Sondrio Marcella Fratta - Insegnante Istituto Tecnico Geometri “Quadrio” Mariella Londoni - Presidente CORIVAL
Francesca Muffatti - Collaboratrice Amministrazione Provinciale Sondrio e Quadrivio
Alberto Pasina - Unione Artigiani della Provincia di Sondrio
Raffaella Riva - Insegnante e allenatrice sportiva
Luca Verri - Responsabile Servizio Politiche Sociali - Comune di Sondrio

 

Sintesi workshop

COOPERAZIONE, VOLONTARIATO, ASSOCIAZIONISMO E SOLIDARIETÀ SOCIALE

Il confronto tra i rappresentanti dell’associazionismo e del volontariato in provincia ha fatto emergere, in generale, un quadro positivo della realtà locale in cui cooperazione sociale e solidarietà sono diffuse, a dimostrazione di una identità, seppure in divenire, ancora caratterizzata da valori tradizionali e altruistici.
La fotografia stessa realizzata dal Centro Servizio per il Volontariato della provincia, di cui sono socie 70 organizzazioni e associazioni di volontariato sociale, dimostra la partecipazione attiva di un numero elevato di cittadini alla promozione della cultura locale e della solidarietà. Al contempo i rappresentanti di tale Centro, interpretando la cittadinanza in chiave solidale, manifestano l’esigenza di una maggiore condivisione e integrazione nella progettazione delle attività al fine di comprendere e cercare di rispondere ai bisogni della collettività, senza disperdere energie e frammentare iniziative.
Dal confronto è stato infatti indicato più volte la tendenza della gente, anche in questo settore, ad essere particolaristi, e alla difficoltà a realizzare progetti insieme ad altri, alla propensione a fare da soli, disperdendo risorse sia umane che economiche. A fronte della presenza di atteggiamenti di chiusura e scarsa comunicazione, è stato rilevato l’esistenza di un tessuto sociale forte e solidale, in cui i valori tradizionali di generosità e altruismo, di cura e assistenza nei confronti dei soggetti più fragili (anziani non autosufficienti, famiglie con difficoltà economiche o psicosociali, extracomunitari…) sono ampiamente diffusi. Questa solidarietà, anche spontanea e pragmatica, è evidente soprattutto nei centri più piccoli dove le reti familiari e del vicinato sono una risorsa viva e attiva.
Per un miglioramento ulteriore è stata auspicata una maggiore coesione, sulle principali problematiche della valle, tra associazioni di volontariato e amministrazioni comunali e provinciali e, in generale, con le istituzioni, un maggiore scambio di idee, una progettazione più mirata e condivisa e un’attività in rete che coinvolga più realtà e centri sul territorio. La necessità di interessare attivamente i giovani, di migliorare la comunicazione sia tra le generazioni sia tra i molteplici attori coinvolti e il confronto anche con realtà fuori dal territorio, uscendo dalla autoreferenzialità, è stata indicata come ulteriore possibilità di sviluppo.

 

CULTURA E TRADIZIONE

L’approfondimento delle tradizioni dei luoghi della provincia, della storia come grimaldello per uscire da un localismo sterile e per confrontarsi col mondo circostante, per mantenere viva la cultura presente con uno sguardo verso il futuro, è stata la tematica approfondita nel workshop “Cultura e tradizione”.
In quest’ottica il territorio è interpretato, da chi vive e ha vissuto in Valtellina e in Valchiavenna - in generale accade così in qualsiasi località - come il luogo in cui sono state depositate le memorie, proprie e della comunità di appartenenza.

Molte delle persone che vivono in provincia sembrano avvertire il bisogno di mantenere il collegamento con il passato (ricordo delle tradizioni, giudizi positivi rispetto il passato), riattualizzandolo e modificandolo sulla base di nuove e diverse richieste del vivere di oggi. Questo aspetto è emerso anche da una pubblicazione realizzata da una associazione valtellinese -“Archivio della memoria” di Ponte in Valtellinache valorizza il processo di cura della memoria come strumento per guardare al futuro con speranza ed entusiasmo a fronte dei recenti cambiamenti sociali, culturali ed economici a livello mondiale, europeo, nazionale, e che stanno interessando anche la nostra realtà provinciale. Dentro le memorie, dunque, ci sono storie, saperi, conoscenze che possono creare occasioni, situazioni relazionali, possibilità di saldatura tra individuale e collettivo, tra interno ed esterno, e catalizzando novità e trasformazioni. Ricordi che provengono dal passato, non zavorre ma parte del presente che si proiettano nel futuro.
Il confronto ha evidenziato che accanto ad un atteggiamento tendenzialmente conservatore con posizioni moderate e neutre, è presente una moderata ansia di cambiamento, soprattutto tra i giovani e le donne che manifestano spinte verso il nuovo, criticando la mancanza di progettualità, la monotonia e la chiusura comunicativa.
Unicità e desiderio di rivendicare proprie peculiarità culturali, territoriali e tradizionali come condizioni che rappresentano sicurezze e garanzie, a fronte di elementi, come riferito in precedenza, che indicano una certa aspirazione a modificarne alcuni aspetti. La rassicurazione fornita dal ricordo dei tempi passati e dalle tradizioni, dai legami familiari e dal far parte di una rete sociale, vengono percepiti come la base sicura da cui potrebbe partire l’innovazione, accettando anche una parte di rischio connesso al nuovo, a ciò che non si conosce ancora, e che pertanto non è prevedibile in modo chiaro. Passato cioè come periodo da ricordare e positivo, ma in generale da non idealizzare o esaltare.

 

PAESAGGIO E TERRITORIO

L’approfondimento del tema dell’identità attraverso la riflessione sul territorio e sul paesaggio della provincia di Sondrio si è sviluppato a partire da tre aspetti proposti dal coordinatore del workshop, a come cioè il paesaggio e la sua storia si sono configurati nel tempo: la cultura del versante, del monte e dell’acqua. È in questi che è possibile vedere alcune radici della identità di chi vive in Valtellina e Valchiavenna.
La “cultura del versante” rimanda alla propensione e attitudine della popolazione a colonizzare il versante, aspetto che è possibile leggere nella storia insediativa.
La “cultura del monte”, cioè il rapporto con la montagna, in passato vissuta come tramite per comunicare con l’esterno della valle. Non si trattava di una aspirazione alla conquista della vetta, ma della cultura del passo, del tentativo cioè di ricercare e gestire il passaggio migliore fra i monti per comunicare con il resto del mondo. Un esempio ne
è la sentieristica. In passato dunque la montagna era vissuta come tramite e non, come oggi sovente è percepita, ostacolo.
La “cultura dell’acqua”, acqua come elemento vitale. Il rapporto con l’acqua, copiosa e spesso rovinosa, era letto come un fatto naturale, ineluttabile. Questo ha portato la gente di montagna a derivare e captare l’acqua per la gestione del bestiame e la lavorazione dei latticini, per avere una forza motrice per far funzionare una serie di macchine e strumenti indispensabili alla sopravvivenza.

La vita era chiaramente faticosa e la generazione tra gli anni ‘50 e ‘60 ha vissuto con grande sollievo la fine di tutto questo e il trasferimento dell’abitazione principale nel medio e fondovalle. Dalla seconda generazione si è visto comunque anche risistemare baite da adibire a seconda casa, espressione di una continuità affettiva e, per un turista attento e sensibile, queste zone potrebbero essere l’ideale per ritrovare un ambiente naturale e gradevole.
Nel confronto è stato sottolineato dunque come la geologia e la morfologia abbiano caratterizzato molto l’ambiente e quindi ovviamente anche la popolazione e la cultura del territorio. Una motivazione che potrebbe distinguere i Valtellinesi da molte altre valli alpine, e anche dalla Valchiavenna, è relativa al fatto che si tratta di una vallata parallela alle Alpi, con un andamento Est-Ovest, che non è stata e diventata una facile via di passaggio per andare nel centro dell’Europa. Nel passato è rimasta tagliata fuori da una serie di collegamenti possibili, di flussi, di ambiti culturali, e allo stesso tempo questa conformazione ha difeso la popolazione da molte invasioni.
L’aspetto legato alla temporalità e ai ritmi delle stagioni ha pertanto stimolato capacità organizzative che altre popolazioni, in ambienti più favorevoli, non hanno avuto bisogno di affinare.
In un periodo storico di grandi trasformazioni come quello attuale al territorio e all’ambiente geografico vengono riconosciute bellezze geomorfologiche e paesaggistiche, mentre riferendosi all’identità culturale la gente della provincia percepisce sovente un senso di inferiorità rispetto ad altre realtà, per esempio metropolitane, come vivesse in una periferia.
La riflessione ha dunque posto la questione della valorizzazione dei beni culturali, ambientali e paesaggistici della provincia, soprattutto pensando alle giovani generazioni, e quindi della continuità storica e del tema relativo alle iniziative, all’innovazione, alla comunicazione, interpretando il paesaggio come elemento che naturalmente evolve.

 

LAVORO, ECONOMIA, INNOVAZIONE, SVILUPPO, TECNOLOGIA

I dati riportati dagli esperti sembrano dimostrare che gli elementi tradizionali sopravvivono nelle abitudini del vivere il territorio della provincia di Sondrio, a fronte di spinte verso il cambiamento, esigenze di innovazione, sviluppo di conoscenze e miglioramento della comunicazione, anche dal punto di vista tecnologico. La constatazione di aspetti limitanti relativi ad alcune peculiarità della mentalità come l’essere chiusi e poco comunicativi, la tendenza al campanilismo o la ristrettezza culturale, così come le lamentele rispetto alla carenza di infrastrutture, alle difficoltà di trasporto e della viabilità, e ai problemi che i giovani incontrano nel tentativo di inserirsi nel mondo del lavoro locale, appare compensata dai vantaggi percepiti.
Due sembrano gli atteggiamenti diffusi: una sorta di fatalismo o rassegnazione rispetto a opportunità di cambiamento, come se fosse quasi impossibile, poco realistico o forse non indispensabile modificare la situazione attuale, percepita in fondo come soddisfacente, e una certa delega ad altri -istituzioni, politici, amministratori- di responsabilità e iniziative innovative; un atteggiamento individualista e personalista e limitatamente partecipativo.
A fronte di quanto detto viene manifestata comunque la necessità di una maggiore collaborazione tra pubblico e privato, tra singoli cittadini e istituzioni, tra mondo dell’economia e delle aziende e la realtà sociale e culturale. Sembra essere questa la via indicata come percorribile per introdurre novità, cambiamenti e innovazione, sia a livello produttivo che culturale e sociale, ravvisati come importanti e auspicati soprattutto per arricchire, coinvolgere e stimolare i giovani. Aprire gli orizzonti lanciando un ponte che, partendo dal localismo e attingendo dalla modernità-globalismo, sviluppi e potenzi i molteplici aspetti di soddisfazione e benessere indicati da molti come ricchezze del vivere in Valtellina e Valchiavenna.
Considerando il mondo delle imprese un’osservazione interessante è stata quella relativa alla necessità di legare maggiormente formazione e ambito del lavoro, creare sinergie per orientare meglio le azioni formative con il sostegno degli enti locali e delle istituzioni, offrendo in tal modo opportunità di lavoro ai giovani. Dialogare con loro, molti dei quali meritevoli e preparati, dare loro maggiore fiducia, incentivando la ricerca e lo sviluppo delle idee innovative, sperimentando soluzioni energeticamente vantaggiose e quindi rispettose dell’ambiente, sostenendo lo sviluppo di reti informatiche e tecnologiche. Anche il miglioramento delle infrastrutture e delle vie di comunicazione, in modo da favorire l’inserimento della valle nel contesto lombardo ed europeo, aiuterebbe ad allentare l’isolamento, lamentela e criticità sovente riportata.
È possibile sintetizzare quanto emerso, semplificando le ben più articolate riflessioni condivise dagli esperti, che il passato va salvaguardato per gli aspetti legati alla tradizione e ai valori legati al vivere in montagna (sobrietà, tenacia, misura, semplicità) e al tempo stesso reinterpretato e attualizzato, offrendo così anche un’alternativa all’omologazione e alla globalizzazione.

 

PROBLEMATICHE SOCIALI E FORMATIVE

I cambiamenti della famiglia, l’invecchiamento della popolazione, l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, l’integrazione delle persone straniere, il tempo libero e le iniziative culturali sono state alcune delle tematiche affrontate nel workshop.
Il confronto tra gli esperti ha permesso di rilevare, in generale, un atteggiamento ambivalente da parte degli adulti relativamente all’allontanamento dei giovani fuori provincia per motivi di studio e formativi: da un lato è riconosciuta come una tappa importante e qualificante, dall’altro è avvertito il rischio di una possibile perdita di risorse locali. Preoccupazione per l’allontanamento fuori provincia dei giovani e bisogno di interventi formativi e di aggiornamento mirati per studenti e giovani lavoratori. Esigenza cioè a programmare azioni volte a trattenere i giovani in provincia secondo una prospettiva di sviluppo che tenga presente potenzialità e necessità di innovazione sociale, culturale, professionale ed economica. La sinergia di iniziative, a vari livelli, da quelle del singolo cittadino fino al coinvolgimento di aziende, amministratori e politici, sembrerebbe un approccio auspicato da tutti. Anche l’atteggiamento finalizzato alla promozione di forme di coordinamento degli interventi in termini sia di prevenzione sia di promozione e sviluppo è quello più diffuso.
Rinnovare la cultura al lavoro, alla formazione, alle professioni, tenendo conto dei settori che potrebbero, se innovati e sostenuti, dare sbocchi professionali e portare ricchezze, dinamismo e vitalità alla provincia (per esempio turistico, agro-alimentare, tecnologico) in un’ottica di lavoro in rete e di un “fare sistema” che valorizzi le radici della tradizione e stimoli l’innovazione per il futuro. Sviluppo cioè di una mentalità del bene comune, di risorse ambientali ed economiche peculiari di ciascuna zona e di risorse umane preparate, aggiornate e al passo con i tempi, in modo da arricchire l’intera provincia.

*

BIBLIOGRAFIA

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    A. Bramanti, A. Martignano (2007), La provincia di Sondrio e le Valli dei Grigioni: Il silenzioso persistere dell’identità retica (1987 - 2007, vent’anni dalla Carta di Sondrio), in Quaderni Valtellinesi - AB/AM - giugno 2007

    Z. Bauman (2003), Intervista su identità. Ed. La Terza, Roma

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    U. Bronfenbrenner (1979), The ecology of human development, Cambridge, Univ. Press

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    F. Remoti (1996), Contro l’identità. Ed. La Terza, Roma

    SEV - Società Economica Valtellinese

    Dalla Prefazione del volume “Valtellina: cooperazione e crescita qualitativa”, di Alberto Quadrio Curzio, Presidente del Comitato dei Fondatori della Società Economica Valtellinese.

    Due aspetti desideriamo in breve sottolineare per chiarire gli scopi della Società Economica Valtellinese. In primo luogo, la Valtellina ha notevoli risorse umane e competenze professionali che possono dare un importante contributo alla progettazione orientativa dello sviluppo della Valle.

    La SEV ha l’aspirazione di rendere tali competenze più consapevoli e cooperative e quindi più efficaci nella convinzione che la loro frammentazione, magari anche per ragioni politico-partitiche, le renda deboli.

    La Valtellina ha anche molte risorse di giovani qualificati culturalmente che hanno tutto l’entusiasmo del costruire ed ai quali va dato spazio per fare quello che altri non hanno saputo o potuto fare. In definitiva, le competenze e le energie dei valtellinesi, spesso riconosciute anche fuori dalla Valle, vanno messe a miglior uso nella loro cooperazione per la Valle.

    In secondo luogo, la Valtellina è una valle alpina che sta scivolando, per certi aspetti inavvertitamente, verso modelli di insediamenti civili e produttivi, di urbanizzazione e di trasporto troppo simili a quelli di una periferia metropolitana. Se tale cambiamento, più quantitativo che qualitativo, continuerà, alla lunga non aumenterà né il valore aggiunto né la civiltà della Valle che invece potrà conquistare una sua identità economico-sociale adeguata all’epoca presente e nella tutela delle sue grandi risorse naturali ed ambientali, solo con uno sviluppo che unisca la tradizione alla crescita qualitativa.

    Le due tesi precedenti erano già state delineate in vari nostri passati scritti ed in particolare nel volume “Valtellina: ricostruzione e nuovo sviluppo” del 1989 dove, riflettendo sulle conseguenze della calamità del 1987, si tracciava anche un percorso al quale l’azione successiva avrebbe potuto essere improntata.

    Spesso ci si è lamentati in Valtellina, sempre sommessamente secondo il nostro costume, per la mancata concessione dello Statuto di Provincia Autonoma al pari della Valle d’Aosta. Molti elementi storici e geoeconomici avrebbero legittimato questo Statuto di Autonomia, anche se talvolta pare a noi che il ricondurre i problemi irrisolti della Valtellina a quelli della mancata autonomia sia in parte un ribaltamento ad altri di responsabilità proprie.

    Nei fatti, e malgrado le molte occasioni perse, sono ancora oggi possibili e conquistabili molti gradi di libertà nel governo di una provincia come la nostra purché ci sia un disegno di sviluppo e di cooperazione. Avere uno “statuto giuridico di autonomia” senza avere uno “statuto economicosociale di sviluppo” serve a poco. La SEV intende contribuire a delineare uno “statuto economico- sociale” che sia sempre aperto alla dinamicità di un’area europea come la Padana Lombardia, ma tenga conto delle specificità naturali, territoriali ed ambientali della Alpina Valtellina.

    Con grande soddisfazione abbiamo potuto constatare l’interesse per la SEV, così delineata, com’è dimostrato dai soci fondatori rappresentanti di istituzioni economiche della Valle. A queste si aggiungono nel Comitato dei Fondatori personalità della Valle molto affezionate alla stessa, che in passato, come oggi, hanno dedicato tempo, riflessione e impegno ai problemi dello sviluppo della nostra Provincia.

    Collana socio-economica della SEV

    1. Valtellina: cooperazione e crescita qualitativa, di Alberto Quadrio Curzio

    SEV - Tip. Ramponi Arti Grafiche, Sondrio - ottobre 1994

    2. Istituto di ricerca per l’ecologia e l’economia applicate alle aree alpine - Atti del convegno - Sondrio 15.12.1993 a cura di Giorgio Scaramellini - SEV - Tip. Ramponi Arti Grafiche, Sondrio - dicembre 1994

    3. La gestione integrata delle acque: l’economia delle risorse idriche della provincia di

    Sondrio

    Atti del convegno - Sondrio, 16.12.1994, a cura di Giovanni Viganò - SEV - Tip. Ramponi Arti Grafiche, Sondrio - giugno 1995

    4. Una rete di servizi telematici in provincia di Sondrio: una proposta progettuale

    Atti del convegno - Sondrio, 25.11.1995, a cura del Comitato scientifico del convegno - SEV - Lito Polaris, Sondrio - ottobre 1996

    5. Lavoro, formazione e imprenditorialità in provincia di Sondrio

    Atti dei convegni della SEV del 6.12.1996 e 12.12.1997 - Collana della Società Economica Valtellinese - Franco Angeli, Milano - 1999

    6. La qualità del sistema Valtellina. Il ruolo della qualità per lo sviluppo di un’area alpina.

    Convegni 1998-1999 - Collana della Società Economica Valtellinese - Franco Angeli, Milano - 2000

    7. Il ciclo integrato delle acque: regole di mercato e modelli operativi a confronto.

    Atti di Convegno 15.12.2000, a cura di Antonio Massarutto. Collana della Società Economica Valtellinese - Franco Angeli, Milano - 2001

    8. Realizzazione e gestione delle reti gas metano - Problematiche ed esperienze a confronto, a cura di Fabio Santini - Collana della Società Economica Valtellinese - Franco Angeli, Milano - 2004

    9. Comunicare la Montagna - 1° edizione 2002 - a cura di Ivan Fassin

    Collana della Società Economica Valtellinese - Nuova serie “Comunicare la montagna” - Franco Angeli Ed. Srl, Milano - 2004

    10. Manuale operativo per la segnaletica degli itinerari escursionistici della provincia di

    Sondrio

    Tipografia Bettini Sondrio - gennaio 2006, a cura della SEV- Società Economica Valtellinese e dell’Amministrazione Provinciale di Sondrio

    11. Un modello di Polo tecnologico in Valtellina

    Studio a cura del CERIS-CNR Ist. di Ricerca sull’Impresa e lo Sviluppo, Consiglio

    Nazionale delle Ricerche - 03.03.2006

    12 Statuto Comunitario per la Valtellina - un progetto per la sussidiarietà, a cura di

    Alberto Quadrio Curzio e Guido Merzoni - Franco Angeli, Milano - 2008

    13. Statuto Comunitario per la Valtellina - attuare la sussidiarietà a cura di Alberto Quadrio Curzio, Guido Merzoni e Roberto Zoboli - Collana della Società Economica Valtellinese - Tipografia Bettini Sondrio - novembre 2008

    14. 2009 Cofanetto contenente:

    - Manuale operativo per la segnaletica degli itinerari escursionistici della provincia di Sondrio, a cura della SEV e della Provincia di Sondrio - Tip. Bettini - Sondrio - ristampa ottobre 2008

    - Linee guida degli itinerari escursionistici della provincia di Sondrio, a cura della SEV

    e della Provincia di Sondrio - Tip. Bettini - Sondrio - aprile 2009

    Collana multimediale della SEV

    1. 3V - Valtellina Vettori Veloci: ricominciare dalla ferrovia. Atti del Convegno - Sondrio 3 luglio 2009 - CD Rom - dicembre 2009

    2. Paesaggio ed Economia. Atti del Convegno - Sondrio 22 novembre 2008. Aggiorna- menti 2009-10. Conoscere il paesaggio - CD Rom - maggio 2010